IL MESTIERE DI CANTASTORIE DEL FOOD E’ DURO E PREVEDE SERATE DI DEGUSTAZIONE OLTRE I LIMITI UMANI: VI RACCONTIAMO COME SIAMO SOPRAVVISSUTI AD UNA SERATA DOVE CI HANNO VOLUTO FAR ASSAGGIARE 48 OTTIMI HAMBURGER
“Michele, mi passi a prendere te? Ti aspetto alle 20. Ci vediamo a piazza Zama e se stai con lo scooter porta il casco“. Il messaggio della mia collega non sembrava nascondere insidie. Solita serata romana dove ti invitano a qualche cena solo-per-giornalisti. Traduzione : “c’è qualche chef-ristoratore che vuole presentarti qualche novità“. Ok, accetto. Passo a prendere la collega. Direzione quartiere Prati, via Simone de Saint Bon 69 (siamo a Roma). Qui c’è una hamburgeria dal nome simpatico: “Birretta Wine and Food“.
A me piace sempre quando il sostantivo “birra” declina nel vezzeggiativo “birretta“. So che non avrò qualche pseudo gastro fichetto che mi attaccherà il mostro sulla cipolla caramellata alla Carlo Cracco. Il nome non mente: il locale è simpatico, carino, l’atmosfera è smart e Riccardo, il proprietario, un ottimo padrone di casa.
Solo un grande problema di fronte a me: il menù è composto da 48 hamburger e Riccardo ci tiene che i suoi invitati li assaggino tutti. Mission impossible. Trattiamo e chiudiamo per un assaggio di nove hamburger. Decida lui quali.
La cosa bella di questo posto è che gli hamburger sono generosi ma non cafoni, studiati e non assemblati alla cactus di cane. Insomma, c’è uno studio. Domando a Riccardo: “come nascono 48 hamburger?” Perchè q-u-a-r-a-n-t-o-t-t-o sono davvero tanti. Per assaggiarli tutti bisognerebbe andare a trovarlo una volta a settimana per 11 mesi consecutivi. ( Prospettiva bella ma non bellissima. Diciamo che un paio di volte al mese è ok).
“Sono curioso, amo il cibo e sperimento. Prima li assaggio io, se mi convincono li metto in menù“. Siccome di mestiere faccio domande e cerco risposte (con risultati altelenanti, sia chiaro) ne sparo un altra: “che carni usi per questi hamburger che sono golosi, che non si sfarinano e che non sono proprio da FastFood“?
Riccardo sicuro: “manzo danese, lo compro da Feroci“. Ora, se a Roma dici che acquisti dalla macelleria Feroci è come se dicessi di acquistare automobili dalla Mercedes. Tradotto: parliamo di garanzia assoluta. E infatti gli hamburger sono buoni. Decido di fare l’antipatico puntiglioso e dico a Riccardo: ” Ok Feroci da queste parti è il top, ma non esiste il manzo danese, esiste il manzo allevato e macellato in Danimarca…” e aggiungo “e pare proprio che questi danesi siano molto bravi a farlo visto che le carni che provengono da là sono molto, molto buone“. Riccardo annuisce e promette che mi farà sapere di più e io, furbastro, incasso la scusa per tornare a trovarlo.
Mi dovrà dire se, come credo, quegli hamburger così ghiotti siano di Frisona allevata e macellata in Danimarca. E’ molto probabile che sia così. Nel dubbio… ritornerò!
Ma torniamo alla degustazione degli hamburger. La tavolata di giornalisti si ammutina e impone di smezzare i nove hamburger. La maratona da 48 hamburger diventa una simpatica corsa campestre da 4 e mezzo. Arrivati a questo punto dell’articolo potrei fare la cosa più noiosa del mondo: elencare quello che ho mangiato o, peggio ancora, fare un elenco dei 48. Aprite la fantasia e immaginate.
In 48 hamburger trovate tutto. Comprese derive veg e fish, formati XXL o hamburger buoni per i collezionisti di bonsai. Mentre vi invitavo ad aprire la fantasia io vi racconto quello che ho aperto con molto gusto: le birre. Artigianali, of course, ma non solo. Considerato che quando Riccardo ha iniziato la sua avventura qui in Prati partì con un beershop capirete che sul fronte birra si gioca in casa (e si vince facile). Finisce la sera. Arrivano i dolci. La tavolata allunga il cucchiaio e all’unisono promette: Qui bisogna tornarci. All’appello mancano ancora da assaggiare 43 hamburger e mezzo.
di Michele Ruschioni 1 Agosto 2018