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LA CABANNINA LA CARNE PIU’ SCONOSCIUTA D’ITALIA

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LA CABANNINA E’ ESPRESSIONE DI UN TERRITORIO SAPORITO E SINCERO COME QUELLO LIGURE LA CONOSCONO IN POCHI LA ALLEVANO IN POCHISSIMI E ANCORA MENO SONO QUELLI CHE L’HANNO ASSAGGIATA 

La cabannina è una vacca autoctona del genovese. La si riconosce per la stazza medio piccola, per il suo caratteristico mantello rosso scuro e perché ama pascolare in altura nei luoghi più impervi. E’ originaria della piana di Cabanne (da cui prende il nome) frazione del paesino di Rezzoaglio nella Val d’Aveto.

Un altopiano più o meno accidentato con versanti scoscesi che ne fanno una sorta di piccola Svizzera. La gente del luogo apprezza tantissimo questa antica razza bovina che secondo alcune fonti risalirebbe addirittura al XV secolo. Ne apprezzano in particolare i prodotti. Il latte, certo di grande qualità, ma soprattutto la carne, dal sapore rustico e forte. Ottima per le preparazioni in casseruola ma che fa la sua bella figura anche alla brace.

Val D’Aveto – Liguria

LA CABANNINA : UNA CARNE DIFFICILE DA COMMERCIALIZZARE

Eppure nonostante la cabannina piaccia e tanto, le sue bistecche sono ancora sconosciute ai più. Perché? Perché la cabannina è una razza a rischio di estinzione. Si contano solo 371 capi, forse anche meno. Un’autentica moria rispetto ai 40 mila esemplari che popolavano i pascoli a inizio Novecento. Al che qualcuno potrebbe obiettare: “Ma che senso ha macellare un animale di cui sono rimasti pochissimi capi?” La risposta è semplice: è proprio la sua commercializzazione a garantirne la sopravvivenza.

Il collasso demografico si spiega col fatto che la cabannina in passato è stata spesso incrociata con razze più produttive. A volte addirittura sostituita. Ma nonostante il lavoro di recupero della razza, cominciato negli Anni 80, i risultati tardano ad arrivare.

“Il problema – afferma Luca Quirini giovane allevatore di questa razza – è che la sua carne non è facile da commerciare. La cabannina pesa tre, massimo quattro quintali, arrivando a due dopo la macellazione. Ma con l’osso. La resa quindi è bassa. Prima per coprire le perdite la regione stanziava delle sovvenzioni ma ora sono tre anni che gli allevatori non ricevono più nulla. E anche i regolamenti europei non aiutano. Ci impongono di creare grandi caseifici quando i nostri in realtà sono piccoli allevamenti familiari con al massimo quattro, cinque capi”.

A tendere la mano agli allevatori anziché la politica sono stati invece i ristoratori, interessati a preservare questa razza più per ragioni romantiche che economiche. Tramandare la cabannina significa infatti preservare non solo una mucca ma anche un patrimonio gastronomico tipico del genovese. Un patrimonio ricco di preparazioni locali e di prodotti a km 0, come formaggi e insaccati, che i più anziani vogliono assolutamente lasciare in eredità alle nuove generazioni.

LA CABANNINA : BISTECCHE COTOLETTE FRATTAGLIE 

Tra le specialità di cabannina più diffuse ci sono senz’altro le lombate alla brace. Bisogna però saperle scegliere perché con così pochi bovini  a disposizione è difficile mantenere una continuità di prodotto. Nel senso che a volte le costate presentano una buona marezzatura e allora alla griglia ci vanno da Dio.

Altre volte invece sono magre e se cotte a fuoco vivo risultano un po’ troppo tenaci alla masticazione. Quindi, in quel caso meglio optare per altri tipi di cottura. Ad esempio, quelle lunghe in casseruola come brasati e goulash.

Oppure si possono preparare le orecchie di elefante. “Ai miei clienti piacciono molto. – racconta Mauro Tedone, 55 anni, titolare del ristorante Rosso Carne – Si preparano come le cotolette alla milanese, impanate su entrambi i lati e cucinate col burro”. Ma molto apprezzate sono anche le interiora. In particolare trippa e rognone, accompagnati con intingoli locali, mentre granelli (testicoli del toro) e cervella sono serviti fritti. Tutte preparazioni che colpiscono per il sapore inteso, la consistenza morbida e a volte cremosa.

Tartar di cabannina con crema di topinanbur, pecorino di fossa e nocciole misto Chiavari

CABANNINA : LE TARTARE

Ma in realtà la cabannina non andrebbe affatto cucinata perché dà il meglio di sé, anzi si esalta, quando è servita cruda. Ci riferiamo in primis alle tartare anche dette dadolate (un termine generico e un po’ fuorviante visto che le tartare sono battute finemente al coltello e non composte da dadini).

Possono essere condite in tanti modi. Ad esempio, con pesto di basilico e pinoli, con salsa di noci e uvetta oppure con ricotta e curcuma. “Ma anche senza condimento – precisa Mauro – le tartare piacciono molto perché hanno un sapore intenso e molto marcato”.

Quando parliamo di cabannina parliamo infatti di una carne dalla notevole personalità, che viene da bovini “montagnini”, animali liberi di vagare al pascolo, allevati grass fed e nutriti in modo assolutamente naturale senza uso di mangimi. Ed è proprio questo quello che si sente quando si assaggia la carne di cabannina: la sapidità di un prodotto che è al tempo stesso espressione del territorio e della sua genuinità.

Mauro Tedone a sinistra con la moglie Paola a destra

CABANNINA :  SALUMI E FORMAGGI

Un altro punto di forza della cabannina sono i suoi insaccati: il salame, molto saporito, che si ricava mischiando la carne di manzo con quella di suino più il lardo; la bresaola, uno stagionato estremamente prelibato che si ottiene dalla fesa del bovino; infine, la pancetta e il mattone di fois gras.

Inoltre, molto rinomato è anche il latte di cabannina. Ottimo per la caseificazione in quanto ricco di profumi e sapori tipici del territorio. Aromi che questa mucca rumina in altura negli ambienti più impervi dove si arrampica grazie alle sue gambe agili e corte.

Dal suo siero gli allevatori producono diversi prodotti: i latticini (chiamati dolce di latte), una sorta di ricotta stagionata (il sarazzu) e formaggi a latte crudo lavorati senza uso di fermenti. Tra questi ricordiamo la prescinseua (fresca o stagionata), la formaggetta (da consumare dopo 15 giorni) e l’u cabanin (che stagiona almeno 40 giorni).

CABANNINA : COSA DICONO I CLIENTI

I commensali spesso restano sconcertati quando mangiano la carne di cabannina perché sentono un sapore forte, grezzo e rustico di carne cresciuta al pascolo che non è facile trovare in una comune macelleria. In questo senso colpisce la trippa ma anche un po’ tutta la carne cruda, le tartare certamente ma anche la bresaola splendidamente infiltrata di grasso.

E conquistano i dolci preparati con crema di cabannina, ad esempio il tiramisù. Come vedete dunque c’è un menù completo di cabannina con voci molto ma molto interessanti. Un motivo in più per visitare e prenotare un pranzo a Genova.

Di Gianluca Bianchini  28/02/2019

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