LE CANTINE DEL NOTAIO AZIENDA VINICOLA DELLA BASILICATA PRODUCE ALCUNI TRA I VINI PIU BUONI DEL MEZZOGIORNO UN NOSTRO INVIATO CI SPIEGA IL PERCHE’
Entrare nelle ‘Cantine del Notaio’, azienda vinicola di Rionero in Vulture (Potenza), è come visitare un piccolo museo contadino. All’interno sono conservate testimonianze di un mondo ormai lontano ma meticolosamente ricostruito nelle sue tante sfaccettature. Arnesi dei bottai, contenitori per il grano, imbottigliatrici per l’acqua minerale e il vino. Cimeli certo ma soprattutto ricordi. Ricordi che come tessere di un mosaico vanno a comporre la complessa personalità di Gerardo Giuratrabocchetti, il titolare dell’azienda, uomo di grandi valori ma anche di innata modestia e simpatia.
“Mio nonno mi ha lasciato in eredità le corna,” scherza mostrandomi un teschio bovino appeso alla parete. Un chiaro riferimento al suo vecchio lavoro nel campo della zootecnia. Ma Gerardo a un certo punto della sua vita ha preferito fare altro. Ha voluto continuare il sogno del nonno paterno, da cui ha ereditato degli splendidi vigneti sulle pendici del Vulture. Così nel 1998, non appena compiuti 40 anni, ha cambiato vita diventando finalmente viticoltore. E dal mestiere del padre – che gli ha insegnato a gestire il patrimonio con saggezza – ha preso ispirazione per il nome dell’azienda, che ha chiamato ‘Cantine del Notaio’.
LE CANTINE DEL NOTAIO : I FACILI
Mentre osservo ritratti di famiglia, atti ministeriali e spighe antiche mi chiedo dove siano le botti e perché mai Gerardo non mi abbia portato a visitare i suoi vigneti. La risposta la ottengo non appena scendiamo nel cortile. “Vedi – mi dice – questo è il facile. Si tratta di uno spiazzo a forma di conca o bacino posto sotto il livello stradale e che dà accesso alle cantine”. Da quello che poi continua a raccontarmi apprendo che a Rionero ci sarebbero più di 1200 cantine sotterranee poste sotto le strade e le abitazioni. Una caratteristica praticamente unica in tutta la zona del Vulture.
Il Vulture è un vulcano ormai spento che si staglia a nord di Potenza. In passato le sue eruzioni hanno favorito la nascita di un terreno estremamente fertile, perché la lava depositandosi ha creato strati di tufo vulcanico. “Una roccia che – osserva Gerardo – ha la capacità di assorbire acqua d’inverno per poi rilasciarla d’estate”. Così anche in assenza di piogge le piante possono prosperare. E tra queste ci sono anche le viti di aglianico, uno tra i più importanti vitigni del Sud Italia, capace di regalare vini dalla straordinaria personalità.
LE CANTINE DEL NOTAIO : LE ORIGINI FRANCESCANE
Il tufo vulcanico ci riconduce però nel paesino di Rionero, dove le cantine sono in realtà delle grotte. Grotte ricavate proprio da questo materiale estremamente friabile. E in particolare quelle di Gerardo sono state scavate nel XVI secolo dai francescani. Tanto è vero che sopra le porte d’ingresso campeggia il segno araldico dell’ordine. E altri simboli inerenti alla fede sono posti sulle pareti vicino ai palmeti (vasche dove un tempo si pigiava l’uva coi piedi).
Ma perché queste grotte producono dell’ottimo vino? “Perché – risponde Gerardo indossando giaccone e cappellino – questi sono ambienti sostanzialmente vivi. Con un’umidità superiore all’80% e una ventilazione costante. Insomma, condizioni ideali per le doghe delle botti che si mantengono dilatate favorendo così la conservazione del vino”.
LE CANTINE DEL NOTAIO : I VARI AMBIENTI
Passando da una grotta all’altra mi rendo conto che queste cantine presentano anche altri aspetti interessanti. Ad esempio, in un antro è allestito un presepe che ricostruisce l’antica società rurale del paese e che allo stesso tempo riflette la filosofia di Gerardo, uomo di profonda fede cattolica. Ci sono poi dei pozzi. Fonti d’acqua minerale indispensabili in passato per pulire botti e damigiane.
In uno degli ultimi ambienti si vede poi un arco inserito direttamente nel blocco di tufo senza spalla d’appoggio. Perché? “Si tratta di un’antica tecnica di costruzione, – spiega Gerardo – con la quale si realizzava prima l’arco; poi si edificava la casa sovrastante la cantina; e per ultimo si ricavava la cantina stessa tramite un lavoro di svuotamento”.
L’AGLIANICO
Doveroso uno sguardo anche alle botti, disposte ordinatamente lungo le pareti. Contengono nettare di aglianico, un’uva antichissima, già nota agli antichi greci e dalla quale si ottiene un vino forte, dal colore rosso rubino e dagli aromi complessi.
“In realtà l’origine di questa uva è incerta, – precisa Gerardo – posso solo dire che l’indagine genetica attesta un forte apparentamento col Pinot”. Ma l’importante lavoro di ricerca e sperimentazione dell’azienda attesta anche che l’aglianico non è l’unico vitigno antico della zona. “Ne abbiamo individuati almeno una quarantina. – afferma Gerardo – Tutti vitigni assenti dagli archivi genetici italiani ed europei e quindi di probabile origine ancestrale. Uno di questi, il Guernaccino, siamo riusciti perfino a metterlo in produzione”.
Infine, oltre a vini pregiati (rossi, bianchi e rosati), le cantine producono anche grappe e spumanti molto interessanti. Tutte bottiglie con nomi rigorosamente notarili. Un’intuizione dalla quale però papà Consalvo si dichiara innocente.
Di Bianchini Gianluca 25/07/2019