UN TERRITORIO TUTTO DA SCOPRIRE SOPRATTUTTO A TAVOLA: CON BRACIAMIANCORA UNA PASSEGGIATA A TREVISO TRA SALSA PEVERADA E SOPPRESSA
“Pan padovan, vini visentini, tripe trevisane e done veneziane”. Lo avrete capito, siamo in Veneto. E tra tutte le “specialità” menzionate nel proverbio, quella che cattura l’attenzione è la carne. Non quella femminea, ma quella che dà gioia al palato. Il viaggio nella cucina trevigiana passa per dei piatti che profumano di tradizioni familiari, di genuinità ma che trovano spazio anche nella cucina degli chef stellati. A proposito di stelle, tra le prelibatezze che brillano nella tradizione gastronomica trevigiana la soppressa. Pronti per la partenza, allacciamo il grembiule e allentiamo le cinture: ne vedremo delle buone.
UNA PASSEGGIATA A TREVISO: SALSA PEVERADA
Anche i puristi faranno un’eccezione. La carne va mangiata “nuda”, dicono loro. Ma a Treviso c’è una proposta interessante. Un “abito” che non copre ma valorizza la carne ed è firmato “salsa peverada”. In Veneto iniziano ad utilizzarla già nel XIV secolo. La ricetta, tramandata da nonna a nipote, non ha più abbandonato le cucine della Marca Trevigiana. E’ il grande classico del pranzo della domenica, un condimento rassicurante e familiare che dà tono alle carni rosse o bianche come pollami, faraone, coniglio. Esistono più versioni della salsa peverada ma tutte prevedono l’impiego dei fegatini e della soppressa. L’utilizzo in cucina non si limita solo ai piatti di carne ma può essere gustata anche con dei crostoni di pane, stesa su morbida polenta o come ingrediente per un risotto.
UNA PASSEGGIATA A TREVISO: IN CUCINA CON LA STELLA
A raccontarci il sapore “ di casa” e di tradizione è una “stella” della cucina trevigiana, chef Alessandro Breda, anima del ristorante Gellius di Treviso. Il riconoscimento Michelin (per lui una stella) non ha influenzato il suo legame con la tradizione. Così la salsa peverada rimane tra le sue più care preparazioni: “La uso perché è una salsa autentica, un gusto di memoria. Nella cene domenicali d’autunno o d’inverno è una ricetta molto presente nelle famiglie. Nella mia famiglia era consuetudine prepararla per il menu domenicale, quando ci si ritrovava attorno alla tavola. E’ un po’ la ricetta della nonna”. Nel suo menu la vedremo insieme alla carne di coniglio, o alla faraona o alla lepre: “Il procedimento e gli ingredienti sono uguali un po’ per tutti, la differenza tra le tre carni è che se viene usata la peverada con la lepre allora verrà usato del fegato di lepre, se con il coniglio si userà il fegato di coniglio, per quella da abbinare alla faraona si usa il fegato di maiale. Il fegato di lepre è molto ferroso, dà un tono più consistente alla salsa che va ad autentificare la carne di lepre. L’effetto della salsa peverada è una sorta di ragù molto fine”.
Tradizione ma un pizzico di personalità “stellare” alla salsa non guasta: “Io la preparo molto nella mia cucina, la propongo in modo un po’ più particolare: invece di lasciare questo ragù molto grezzo, lo passo al setaccio. Quindi vado a tirare fuori l’essenza della salsa peverada invece che presentarla come un sugo grezzo, viene fuori una salsa molto delicata”. Per rimarcare il legame con il territorio nel piatto non può mancare la polenta abbrustolita: la sigla di un territorio.
UNA PASSEGGIATA A TREVISO: SOPA COADA
Un’altra specialità trevigiana a cui lo chef si dedica in casa e al ristorante è la sopa coada. Piatto autentico e proprio del territorio della Marca. “Non è altro che una zuppa di pane e piccione che viene cotta a lungo: coada prende il nome da covare. La tradizione vuole che si faccia un brodo di piccione, l’animale viene tutto sminuzzato, spolpato e di solito si fanno delle cocotte individuali di pane raffermo con il brodo di piccione, la carne, parmigiano fatto a strati e poi viene cotta in forno a bassa temperatura per lungo tempo, proprio perché deve un po’ “covare”, stufare. Alla fine il risultato non è un primo brodoso ma una sorta di pasticcio molto morbido, si mangia questo pane stracotto con l’aiuto del piccione”. Che quel piccione sia viaggiatore o sedentario non ci interessa, il risultato è un piatto che fa viaggiare i nostri sensi.
UNA PASSEGGIATA A TREVISO: FUOCO E TRADIZIONE
Chef Breda è una stella che brilla di luce propria e ha contribuito ad accendere un altro astro gastronomico: Chef Rubio star di “Unti e Bisunti” (programma su DmaX), suo “discepolo” per tanto tempo. Quant’è piccolo il mondo! Lo chef trevigiano e il cuoco rugbista di Fascati condividono l’amore per la cucina semplice oltre che la passione per la brace: “Un vero barbecue si fa con fuoco e brace di legno, quindi in cucina è difficile riproporre questo tipo di cottura. Però uso molto la griglia a piastra che dà grossomodo l’effetto. In un barbecue fatto bene bisogna considerare la scelta della carne, del taglio, della marinatura, il procedimento della cottura più violenta o più dolce”. La cucina di chef Rubio si è mostrata fin dagli esordi attenta alla tradizione: “Rubio ha molto interesse per quella che si può definire una cucina un po’ “perduta” . Gabriele era molto concentrato su quello che la gente del posto è abituata a mangiare. Adesso il discorso del cibo semplice sta andando molto di moda con lo street food, è stato rivalutato giustamente”.
UNA PASSEGGIATA A TREVISO: LA SOPPRESSA E IL CONSORZIO
Ha fatto la sua comparsa all’inizio di questo articolo come ingrediente della salsa peverada. La soppressa è in realtà una “prima donna” della cucina trevigiana. Protagonista di un territorio che per difenderla e promuoverla (insieme ad altre leccornie) ha dato origine al Consorzio della Marca Trevigiana. “E’ nato nel 2003 per tutelare i salumi tipici trevigiani, tutte le aziende sono della marca trevigiana. La soppressa è veneta, erano i norcini e i contadini del territorio a produrre questo salume dal 900 in poi”. A parlare è il presidente del Consorzio Ferdinando Sartorato che ci racconta quanto sia lungo e complesso il percorso verso il riconoscimento internazionale del prodotto: “Ci siamo battuti ma abbiamo incontrato non poche difficoltà burocratiche per ottenere la certificazione. Col nome di soppressa trevigiana abbiamo documenti lacunosi, tutti scrivevano “soppressa nostrana” che non specifica un’area o un territorio. Al momento non siamo riusciti a superare questi ostacoli nella documentazione”.
UNA PASSEGGIATA A TREVISO: IL SALAME DELLA TRADIZIONE
L’aspetto di un normale salame con una storia tutta sua: “La particolarità della soppressa è che veniva fatta in un budello più grosso proprio perché doveva sfamare la famiglia nell’estate successiva, quindi doveva durare sette-otto mesi. La soppressa fresca, di 8-10 giorni può essere cotta sulla piastra. Tagliata spessa come un hamburger, un po’ più sottile, va scottata sulla piastra e condita con un goccio di aceto e accompagnata con la polenta”.
Un altro salume della Marca Trevigiana degno di attenzione e riconoscimento è la porchetta: “Il consorzio sta rivalutando e promuovendo questo prodotto. La porchetta trevigiana è molto diversa da quella comunemente conosciuta, come quella di Ariccia. E’ una coscia di maiale intera che viene ricoperta con sale sopra la cotenna e messa davanti al caminetto.
Va lasciata cuocere a fuoco lento per 12-15 ore. Questa è la preparazione originale. Adesso si fa nei forni, sempre una coscia di maiale disossata, cotta al forno senza nessun conservante o ingrediente particolare. L’aggiunta del sale avviene dopo la cottura. Con il consorzio siamo andati a Cibus per promuovere il prodotto che sta avendo anche un certo successo fuori dell’area trevigiana, ad esempio anche a Roma è molto apprezzata”. Non solo ai Castelli romani, dunque, ma anche un po’ più a nord la porchetta ha attecchito e merita di essere scoperta nella sua versione veneta.
di Ivana Figuccio 30/05/2016