BARBECUE A BASE DI PESCE: UNA VERA GODURIA. MA QUANTA FATICA FARE ARRIVARE IL PESCE DEI NOSTRI MARI SULLA GRIGLIA. IN ITALIA C’E’ LA CRISI DELLA PESCA
La sveglia suona poco prima che albeggi. Il rito è ogni giorno uguale: giubbe, scarponi e l’odore di mare sempre addosso. In una città ancora addormentata, i pescatori sono i primi ad iniziare la giornata. Le barche, i pescherecci attraccati al porto sono molti ma quelli che lasciano gli ormeggi e lanciano le reti sono sempre meno.
Il pesce italiano fatica ad arrivare sui banchi del mercato. Sul nostro barbecue sempre più spesso finisce pesce straniero dal prezzo più basso. La rete in cui rimane impigliato il pesce non è quella degli uomini di mare ma quella della politica. Facciamo il punto sulla crisi della pesca: vediamo come è iniziata e come può finire.
LA CRISI DELLA PESCA: LA “RETE” POLITICA
Arcinoto il detto “chi dorme non piglia pesci”. Giusto. Ma non si dice abbastanza su chi si sveglia per pigliarli e sulle difficoltà di portare avanti un’attività così importante per il nostro Paese. Il silenzio e l’indifferenza delle istituzioni e della politica sulla crisi che svuota i pescherecci e, spesso, li tiene ormeggiati stanno mettendo a rischio la pesca.
Ma non si tratta di una novità: “Parte da oltre 30 anni di cattive politiche del settore”. La voce è quella di Tonino Giardini, responsabile di Impresa Pesca Coldiretti: “La politica comune della pesca è governata da Bruxelles. Questo significa che qualsiasi accordo l’Ue lo deve fare in prima persona e non sono gli Stati associati a farlo liberamente”.
LA CRISI DELLA PESCA: DAL 1985 A OGGI I COSTI SONO AUMENTATI DEL 280%
in questo caso I numeri dicono molto di più delle parole: “I dati Fao e dell’Ue ci dicono che nel Mediterraneo il 70% delle risorse ittiche, almeno quelle selvagge, sono in forte difficoltà di tenuta nel lungo e medio periodo, e un altro 20% è in difficoltà nel medio e breve periodo. Nel 1985 una triglia di fondo di seconda scelta si vendeva a 13mila lire al kg, oggi i costi di produzione sono aumentati del 280% e la triglia è pagata a 4 euro circa.
Le importazioni dal 28% sono passate al 74%: significa che una marea di prodotto ittico entra nei nostri mercati ma a prezzi molto bassi e tira verso il basso anche i prezzi dei nostri produttori che hanno molti costi da affrontare per garantirei consumatori, per garantire il benessere anche quello animale, una serie di norma da rispettare che costano”.
LA CRISI DELLA PESCA: STESSO MARE MA REGOLE DIVERSE ECCO COME SI SONO PERSI 18 MILA POSTI DI LAVORO
Guardando al Mediterraneo la complessità della situazione è legata ai tanti paesi in gioco che avanzano diritti sullo stesso mare. Le leggi che regolano il settore non sono uguali per tutti i paesi: “Gestire una risorsa in un bacino come quello del Mediterraneo dove si affacciano oltre 20 stati diventa difficile se poi alcuni di questi stati come la Spagna, la Francia, l’Italia, la Slovenia, la Grecia sono nell’Ue e altri non lo sono.
La riduzione dello sforzo di pesca – continua Giardini – da parte di alcuni soggetti non ha avuto di contro un contenimento di sforzo di pesca da parte di altri paesi. Abbiamo perso in 30 anni 1/3 delle imprese, 18mila posti di lavoro. Le imprese non fanno più reddito e non sono in grado di reinvestire nel loro settore, non hanno risorse, a malapena gli introiti pagano le spese.
E c’è una politica miope di Bruxelles che punta sulle tre sostenibilità: quella ambientale, sociale ed economica. Quella ambientale viene posta davanti alle altre: se riusciamo a ricostituire le risorse ne trarrà beneficio anche l’economia della pesca e anche tutto il territorio circostante, le attività connesse come ristorazione e turismo. In questo momento non siamo i padroni del nostro destino ma ci sono altri Stati che si stanno confrontando con noi e non ci permettono di migliorare le condizioni ambientali ma nel frattempo facciamo fuggire da questo settore tante professionalità e imprenditori”.
LA CRISI DELLA PESCA: NORME EUROPEE TROPPO STRINGENTI
A confermare che la legislazione sia una causa importante della crisi anche Gennaro Scognamiglio, Presidente Unci Agroalimentare: “Il comparto non si evolve perché le norme europee sono molto stringenti. Attualmente i pescatori stanno lamentando la legge 154 del 2016 che prevede sanzioni molto alte per chi cattura fuori dalle regole. Questo per un pescatore che pesca 3 kg di pesce sotto misura comporta una sanzione di 50 euro. Una cassetta di triglie o merluzzo, venduta al mercato, vale poco più di 10 euro.
Quindi questa sperequazione sulla sanzione per una cattura indesiderata oppure per una cattura venduta involontariamente in una cassetta di sotto misura comporterebbe un problema molto serio alle imprese e alle aziende post-produzione perché se comprano pesce sotto misura o pescato non a norma avrebbero la chiusura di sei mese. Quindi immaginiamo la chiusura di un ristorante perché ha due pesci di 18 cm anziché 20”.
LA CRISI DELLA PESCA: 37.1.1 RICORDATE QUESTI NUMERI
Un altro fattore che incide sulle condizioni critiche del settore è la concorrenza degli altri Paesi e dei mari lontani. Così il Presidente Scognamiglio: “Noi abbiamo perso negli ultimi 5 anni quasi l’80% della flotta, quindi i nostri mercati oggi all’80% sono approvvigionati attraverso l’importazione. Mentre solo il 20% viene coperto dai sistemi di pesca e cattura italiani. Per quanto riguarda la concorrenza da altri Paesi, possiamo intervenire solo con un sistema di riconoscimento o di valorizzazione del prodotto locale.
Noi abbiamo avuto una legge sulla tracciabilità del prodotto, una forchetta molto larga che va dal produttore alla tavola attraverso dei codici QR: il consumatore attraverso un’app può fotografare il QR sulla cassa del pesce e avere la certezza di che pesce si tratti, della sua origine e di cosa sta mangiando.
Il sistema Sian che controlla e monitora tutti i prodotti anche d’importazione”. Bisogna lavorare sull’informazione e sul consumo consapevole di pesce da parte del consumatore: “Il consumatore deve sapere il pescato da dove arriva, ad esempio che l’identificazione 37.1.1 è l’identificazione del Mediterraneo italiano”.
LA CRISI DELLA PESCA : IL PROBLEMA DELL’ACQUACOLTURA
L’Ue spinge su un’acquacoltura sempre più importante, sull’allevamento ittico. Ma anche questa non sembra una soluzione alla crisi, come spiega Giardini: “Il problema è che tra le 200 specie edibili tirate fuori dal mare tra le risorse selvagge quelle che riesce a produrre l’acquacoltura in maniera economicamente sostenibile sono una decina. Sostenibile vuol dire che in una vasca faccio lo sforzo di tener fermi per un anno, un anno e mezzo gli animali. Ma se per arrivare alla taglia adulta, alla taglia commerciale mi ci vogliono sei anni quel prodotto non è più economicamente sostenibile: i costi sarebbero eccessivi rispetto al guadagno.
L’acquacoltura ha un limite nel ventaglio di prodotti che può offrire e in Italia ha anche un limite strutturale perché poche sono le coste in gradi di sostenere impianti di questo tipo. In Croazia o in Grecia si può fare facilmente acquacoltura e piscicoltura. Da queste zone vengono prodotti sul nostro mercato a prezzi molto più bassi e diventano concorrenziali per i nostri”.
LA CRISI DELLA PESCA : COME USCIRNE
Politiche che premino la distintività, le produzioni nazionali e che mettano il consumatore nelle condizioni di scegliere: questo potrebbe fermare il crollo del settore ittico. Maggiore trasparenza non solo sui banchi del mercato ma anche al ristorante: “ La maggior parte dei prodotti ittici – continua Giardini – oggi vengono utilizzati e consumati fuori dalle mura domestiche.
Ma non si vede mai scritto pesce d’importazione e il 74% è pesce non italiano. Se il ristoratore non ha l’obbligo di indicare la provenienza la situazione non cambia. Io consumatore se so che quella sogliola viene dall’Olanda la scelgo coscientemente. Allo stesso modo devo essere nelle condizioni di poter scegliere e premiare un prodotto italiano”.
LA CRISI DELLA PESCA : OCCHIO AI PREZZI TROPPO BASSI
Non è in discussione solo la qualità del prodotto ma anche il percorso per ottenerlo, così spiega Giardini: “In Bangladesh sono state distrutte foreste di mangrovie per produrre i gamberetti: ecco io non dico che quei gamberetti da un punto di vista organolettico sono peggio dei nostri, ma una riflessione su cosa ha significato produrli la faccio. Bisogna chiederselo perché poi costano poco”.
Il controllo della filiera è uno degli strumenti da utilizzare, bisogna premiare e incentivare i produttori indirizzando dei finanziamenti per creare piccoli mercati, per fare iniziative. “Ci sono contributi comunitari che sono per la trasformazione e commercializzazione del prodotto ittico che finanziano in egual modo chi fa un progetto per un mercatino a vendita diretta, a miglio 0, e chi ha un grosso stabilimento e importa il prodotto da tutto il mondo. Questi progetti vanno sempre a prevalere su gli altri e molto spesso i piccoli mercatini dei produttori locali rimangono senza risorse”.
di Ivana Figuccio 30/11/2016