SORTO TRA FERRO E FIAMME RACCONTA LA LEGGENDA CHE LA PRIMA VOLTA FU COTTO CON LA LANCIA DI UN LANZICHENECCO VI RACCONTIAMO L’INCREDIBILE STORIA DEL TORDO MATTO L’ANTICO INVOLTINO DI ZAGAROLO (ROMA)
Nel favoloso mondo degli involtini griglie, camini e fornelli hanno sempre un gran daffare: abbrustoliscono bombette e spignattano braciole, ma se poi il cazzomarro colpisce per le sue dimensioni, il Tordo Matto invece confonde per l’eccentricità del nome.
Cos’è? Il Tordo Matto è un piatto laziale tipico di Zagarolo, paese di 18 mila anime vicino a Frascati e dunque a pochi chilometri dalla capitale. Il piatto, nonostante il nome induca a pensarlo, non si compone affatto di uccelletti, ma della ben più sostanziosa carne equina, con all’interno un battuto di grasso ottenuto dal prosciutto, più altri ingredienti quali: aglio, prezzemolo, coriandolo, sale e spezie locali.
La tradizione vuole che gli involtini si mettano a riposare per 24 ore nel vino, al fine di rendere la carne più morbida e saporita. A quel punto si infilzano nello spiedo e si cuociono alla brace di “Troppe”, ovvero un fuoco che arde rametti di viti ricavati da vigneti “stincati” (dismessi). Ma se preferite il Tordo Matto potete anche rosolarlo nella graticola o in una comune padella.
UN PIATTO NATO DOPO UNA GUERRA
La nascita del Tordo Matto è legata ad uno degli avvenimenti più drammatici mai vissuti dalla capitale, il sacco di Roma. Nel maggio del 1527 l’imperatore Carlo V per punire il Papa, alleatosi con la Francia, inviò nella Penisola i lanzichenecchi. Questi erano soldati mercenari, che spinti dalla fame e dall’avversione per il cattolicesimo (erano infatti di fede protestante), finirono per devastare la città santa. L’occupazione causò danni ingenti: furono razziati i beni artistici, umiliati i religiosi e morirono ben 50 mila romani. Morirono non solo per la guerra, ma anche per la peste portata dai soldati e così altri 10 mila cittadini si affrettarono ad abbandonare le loro dimore per trovare rifugio nelle vicine campagne.
LA LEGENDA DEL TORDO MATTO
A questo punto finisce la storia e inizia la leggenda. Si narra che un giorno un lanzichenecco, seguito dal suo cavallo in fin di vita, raggiunse una capanna nei pressi di Zagarolo. La capanna era abitata da un’anziana coppia di contadini, che si prodigò per aiutare l’ospite ferito, curandolo e condividendo con lui il modesto desinare: un po’ di verdure, qualche uova e della frutta. Ma il soldato affamato non gradì per nulla quel pasto frugale e per manifestare tutto il suo disappunto iniziò ad urlare la parola Drossel. Una parola straniera di cui la coppia ovviamente non poteva certo conoscere il significato.
Fortunatamente a salvare la situazione ci pensò il cavallo che di lì a poco spirò. Così la contadina poté usare la carne tagliata a fettine per comporre degli involtini aromatizzati con lardo, erbe e spezie varie. Tutti ingredienti ottenuti dai loro vicini barattandoli con pezzi del defunto equino.
COME NASCE LA TRADIZIONE
Gli involtini vennero poi infilzati nella lancia del Lanzichenecco e cotti alla brace. Il soldato stavolta apprezzò e mangiò avidamente, bevendo tanto di quel vino da ubriacarsi come un ciuco. Visibilmente soddisfatto e in preda ai fumi dell’alcol, il lanzichenecco prese a cantare ripetendo il medesimo ritornello, Drossel, per poi crollare sfinito nel sonno.
All’indomani i due contadini si accorsero che il soldato matto, come lo avevano già definito, non c’era più e visto che la guerra ormai volgeva al termine, organizzarono una festa in occasione della quale servirono molti di quei nuovi involtini.
PERCHE’ SI CHIAMA TORDO MATTO
Durante il banchetto l’anziana coppia insegnò la ricetta ai vicini e raccontò loro quanto accaduto la sera prima e cioè come il piatto avesse placato la fame di quel soldato matto, che non faceva altro che ripetere sempre la stessa parola, Drossel. Quando finalmente si venne a sapere che in tedesco Drossel significa tordo, ecco che l’involtino venne chiamato Tordo del Matto, espressione poi semplificata in Tordo Matto.
Più tardi nel 1820 il medico condotto Paolo Montorsolo in un saggio inviato al principe Rospigliosi, oltre a raccontare la leggenda, spiegò anche la ragione del successo di questa specialità: la presenza di molti cavalli ed asini nel territorio di Zagarolo. Bestie impiegate in passato per trasportare merci e aiutare i contadini nei campi, spesso sacrificate a fine carriera.
Oggi per preparare l’involtino si usano solo carni di animali giovani provenienti dai vicini allevamenti locali. Parliamo dunque di puledri grassi da cui attingere tagli quali: il coscio, il lombo, la noce, il filetto ma anche la rosa e il pannicolo.
LA SAGRA DEL TARDO MATTO
Preparato l’involtino, bastano dieci minuti sulla brace per rosolarlo e gustarlo poi su un piatto o in un panino. Se non siete di Roma e volete assaggiare questa specialità, tenera e saporita, basta recarsi a Zagarolo, dove ogni anno a fine giugno si tiene la sagra del Tordo Matto. La sagra, nata nel 1992 e organizzata dalla confraternita di San Antonio da Padova, è un evento vivace che, oltre a tanta carne di cavallo, mette in passarella musica, balli e rappresentazioni rinascimentali. Insomma, una motivo in più per visitarla e divertirsi.
di Gianluca Bianchini 15/04/2021