CHI SONO I MIGLIORI GRIGLIATORI D’ITALIA? PER CARITA’ NON CHIEDETELO A UN PUGLIESE INIZIALMENTE FINGERA’ MODESTIA RACCONTANDOVI CHE I SARDI SONO MITICI, I TOSCANI DI PIU’ E I MOLISANI NON NE PARLIAMO MA POI CON UNA REPENTINA INVERSIONE A U VI CONFIDERA’ UN SEGRETO: VI DIRA’ CHE IN REALTA’ E’ STATA LA PUGLIA A INSEGNARE AL MONDO A GRIGLIARE
Non so se vi è mai capitato di sedere a tavola con un pugliese, da Bari in su hanno quell’accento che li rende genuini e incredibilmente simpatici. Non che i salentini siano da meno, hanno solo un dialetto più sdolcinato ma non per questo meno fiero e baldanzoso.
Quando si parla di cibo quindi non crediate di impressionarli. Se dite loro che solo in Giappone si fa il sushi, vi risponderanno: “E perché qui non si mangia il pesce crudo?”. Se poi parlate di street food, ecco che salta la storia della focacceria di Altamura che sconfigge il gigante McDonald. E se infine pronunciate la parola griglia, allora, con una mano sulla spalla, vi diranno che qui la brace ha una storia millenaria e per raccontarvela tutta, ma proprio tutta, vi porteranno con loro a grigliare l’impossibile.
Questa lettera di un nostro lettore, scritta per elogiare l’anima grigliereccia della Puglia, non fa che confermare questo lato del pugliese, che ha sì un’anima buona e romantica, ma allo stesso tempo anche un po’ guascona.
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Vi racconto l’amore che nutro per questa terra con le parole di un grande del passato: “E’ evidente che il Dio degli Ebrei non ha conosciuto la Puglia e la Capitanata, altrimenti non avrebbe eletto la Palestina a terra promessa”.
Se queste, dunque, sono le parole di Federico II, l’imperatore del sacro romano impero, cresciuto in quella splendida isola che è la Sicilia e che a suo tempo viaggiò molto fino a diventare re di Gerusalemme, allora sì, possiamo pensare che forse è proprio così, la Puglia è davvero il luogo più bello del mondo.
Più che una striscia di terra è un continente che dal promontorio digrada verso laghi e pianure, risale per colline e monti e ridiscende fino alla costa, bagnata da un mare che più bello non si può. Che sia l’Adriatico o lo Ionio.
Ma io non ho citato Federico II a caso, l’ho citato perché a questo imperatore di stirpe germanica, bello, biondo e con gli occhi azzurri, tanto amato dalle donne e amante a sua volta della bella vita, piaceva organizzare sontuosi banchetti e ardite battute di caccia.
Quindi, chissà quanta carne avrà sfrigolato nel suo palazzo e quanti spiedi, ora di allodole, ora di lepri, ora di cinghiali, saranno finiti sul fuoco, proprio qui nei boschi dell’incoronata e del Gargano. Questo per dire, miei cari amici, che la brace in Puglia se non la sapevate, ma ora lo sapete, ha un lignaggio nobile.
Certo la nostra è una cucina povera, fatta di erbe spontanee, fave, rucole e rape e mettiamoci pure ceci, lenticchie e pomodori, ma se parliamo di grano e pane ricordate che questo un tempo cuoceva non diversamente da u rut au forn, uno stufato tipico dei monti dauni, ovvero la brace veniva posta sia sopra che sotto un piccolo forno, un po’ come succede per i testi toscani o il coppo abruzzese.
Questa cottura, ben nota all’imperatore, sottolineiamolo, è stata poi superata dai i più capienti forni a legna e da allora le pagnotte di Monte Sant’Angelo spandono una fragranza senza pari, con quella crosta irresistibile, spessa e croccante, e quella mollica meravigliosa, calda e soffice.
Che goduria bagnarla nella ciambotta fresca, la zuppa di pesce manfredoniana, e che libidine raccogliere il ragù e tanti altri intingoli appetitosi. Insomma, la scarpetta in Puglia è davvero uno dei piaceri della vita.
Se Federico avesse fatto spiccare il volo al suo falcone, questo, a caccia di fagiani, avrebbe visto muretti a secco e masserie, fichi d’india e ulivi, mandorli e filari di viti ovunque, anche nei pressi di Castel del Monte, e a notte, come per magia, avrebbe scorto braci e falò.
E sì, perché qui in Puglia, in tutta la Puglia, Dal Gargano al Salento, il fuoco nutre innanzitutto lo spirito e con le fiamme che si innalzano alte in cielo, si celebrano ancora oggi anime del purgatorio, santi e madonne varie.
La brace, però, dalle nostre parti non è solo devozione, ormai è da tempo che si è emancipata dai riti religiosi e così in tanti centri, piccoli e grandi, sono nati vivaci eventi culturali a ritmo di abbuffate e tarantelle.
Nell’Alta Murgia si arrostiscono salsicce a punta di coltello. A Sammichele di Bari si braciano le zampine, a San Teramo si cuoce la carne equina e questa nella Bat si affumica ancora col mandorlo e che dire del caciocavallo impiccato, dei torcinelli, della muscisca, delle braciole! Poesia nient’altro che poesia per la nostre pance affamate!
Da noi, vi svelo un segreto, la cultura del fuoco è eclettica, mica usiamo solo carbone e legna. Per cuocere un castrato bastano gusci di mandorle e nocciole più qualche rametto di timo. Se poi avete foglie di viti e siete a Polignano a Mare, fate come i marinai di un volta, usatele per avvolgere le triglie, quelle baffute dei fondi rocciosi, e riponete il fagotto sotto la cenere.
Vedrete che delizia, roba da leccarsi le dita! In riva al mare poi, mentre i polmoni si riempiono di aria salmastra, tirate fuori una padella e cuocete i ceci con la sabbia infuocata (o in alternativa usate la polvere di tufo rovente). E’ un’esperienza da provare.
Ma se siete turisti in cerca di specialità tipiche, allora, vi consiglio gli intramontabili fornelli. Lì sì che ardono ciocchi di ulivo, la legna migliore per cuocere spiedi stracarichi di bombette, involtini e cazzomarri e mi scusino gli amici di Martina Franca se ho dimenticato il fragno che nei trulli affumica i capocolli per farli diventare dei salumi, a dir poco, favolosi.
E la carne bovina? Sfatiamo subito un mito, quello che vede la nostra podolica mangiare solo cicorie e silicornie, ma va là, è una bugia, è da tempo che consuma anche lei il foraggio e, quindi, avoglia a mettere grasso, chiedete pure ai ristoratori di San Severo e Orta Nova. Vi serviranno delle bistecche goduriosamente marezzate. Con tutto il rispetto per gli amici toscani, a cui voglio tanto bene, ma in Italia non esiste mica solo la chianina!
Forse è vero io della Puglia ho una visione romantica, ma che ci posso fare se sono un sentimentale. Non riesco a dimenticare la fornacella della nonna, che sul balcone, come tante altre brave massaie, cuoceva lo sbarrone (o sarago sparaglione) e nella graticola, lo so lo so, c’erano pure seppie e seppioline, ma non mi fate riacciuffare i ricordi che già mi vengono i lucciconi.
Amici, cos’altro posso raccontarvi della Puglia che griglia? ah sì, dimenticavo, posso parlarvi della puccia del Salento farcita coi pezzetti di cavallo (una bontà street food), delle lumache arrosto (che non a tutti piacciono), ma poi le pizze, quelle condite con burrate e ricottine, dai sono clamorose! E i panini al polpo grigliato e le orecchiette con le cime di rape (che ve lo dico a fare, i classici non tradiscono mai).
E ancora, il vino buono e l’olio d’oliva compongono una sinfonia di sapori che qui dipinge d’azzurro il cielo anche quando fa cattivo tempo e rendono buona l’anima come il bianco immacolato delle case di Cisternino. Immacolate sì ma pur sempre profumate d’arrosto.
Ecco perché dovreste fare tutti come Federico II: trasferirvi in Puglia, innamorarvi dei suoi aromi e dei suoi paesaggi ed eleggerla a terra promessa.
di Pippo De Lellis, critico gastronomico mattinatese e amico di Braciamiancora