IL PROVOLONE DEL MONACO E’ UN FORMAGGIO A PASTA FILATA DALLA FORMA A PERA, CON UNA SCORZA A SPICCHI DI COLOR NOCCIOLA E UN SAPORE DOLCE E ALLO STESSO TEMPO PICCANTE
“Chiara è ‘a luna, dolce è o’ viento, calmo è ‘o mare oje Carulì!…Sta nuttata e sentimento nun è fatta per durmì”. Questi versi dell’indimenticato cantautore napoletano Roberto Murolo sono stati scritti per far sospirare gli innamorati di tutto il mondo, ma con un po’ di fantasia ritraggono benissimo anche gli antichi casari dei Monti Lattari.
Questi casari, infatti, nel ‘700, a sera salutata l’amata mucca (Carolina), s’imbarcavano per Napoli con le loro forme e, indossati mantelli simili a sai per proteggersi dal freddo, una volta giunti al mercato, venivano scambiati per dei monaci.
Fu così, dunque, che il loro formaggio da allora ha preso il nome di provolone del monaco. Un provolone dalla forma di melone allungato prodotto con un latte ricco di aromi, molto gustoso e alla base di diverse ricette locali. Da preparare a casa o da gustare al ristorante.
LA PENISOLA SORRENTINA
Oggi questo provolone è diventato una dop, “ma è l’unica dop in Italia – osserva Roberto Esse, responsabile dell’ufficio stampa del consorzio per la tutela del provolone del monaco – a non avere un nome che faccia riferimento all’area di produzione”.
Infatti, se il parmigiano si definisce reggiano e il grana invece si definisce padano questo formaggio allora dovrebbe chiamarsi provolone sorrentino. Sì, perché i Monti Lattari e i vari centri di produzione, da Vico Equense a Gragnano passando per Meta fino ad Agerola, sono tutti disseminati lungo la penisola sorrentina che è in assoluto uno dei luoghi più belli d’Italia.
“Parliamo di una bellezza sconfinata – esclama Roberto – da dedicare interamente al turismo e noi invece che facciamo ci lasciamo pascolare le mucche”. Quella di Roberto, lungi dall’essere una lagnanza, è in realtà una constatazione.
La penisola sorrentina e con essa la costiera amalfitana è davvero un paradiso. Un paradiso con alture e borghi a picco sul mare che sono come terrazze dove l’azzurro del Tirreno si confonde a perdita d’occhio col cielo e il rigoglio della natura. E da questo paradiso, statene certi, nessuno vuole mandar via le mucche. Anzi “tutto l’opposto questo è il loro albergo,” afferma Roberto.
L’AGEROLESE
Le mucche nei Monti Lattari sono dunque perennemente in vacanza, ora al mare ora in montagna, vagano tranquille per i pascoli dove mangiano fieno ed erbe aromatiche e altro aspetto importantissimo non vengono disturbate dalla presenza umana.
Tra tutte queste belle signore, però, ce n’è una in particolare senza la quale il provolone del monaco non esisterebbe. Stiamo parlando dell’agerolese, una mucca nata dall’incrocio fra frisona, bruna alpina e jersey e che se fa poco latte lo fa così buono e pregno di odori da infondere un profumo straordinario al provolone del monaco.
Non a caso se l’80% del latte necessario a produrre questo formaggio viene da bovini, quali: frisone, pezzate rosse, bruna alpina, jersey, podoliche e meticci vari (purché allevati nei Monti Lattari), almeno il 20% deve per forza essere fornito da questa mucca mite e dal mantello bruno. Altrimenti il disciplinare è chiaro: non si può parlare di provolone del monaco.
COME SI PRODUCE IL PROVOLONE DEL MONACO
L’agerolese in passato era considerato un bovino a rischio estinzione e quindi se la sua popolazione è cresciuta arrivando a toccare i 600 capi lo si deve senz’altro al provolone del monaco. La dop, inoltre, ha portato sì a un incremento della produzione, ma senza inficiare la qualità del prodotto come invece lamentano alcuni produttori di formaggi ovini e questo risultato lo si deve proprio al disciplinare.
Dunque, aumentata la domanda, sono aumentati anche le mucche e il latte, tanto è vero che oggi la produzione è più che triplicata rispetto a dieci anni fa. Le cifre parlano chiaro: siamo passati dalle 12500 forme del 2009 “alle 40 mila di oggi con una previsione di 44 mila per il prossimo anno,” snocciola alcuni dati Roberto.
Per produrre tutte queste forme servono tantissimi quintali di latte. Ma da soli non sono sufficienti. Serve anche una tecnica antica e laboriosa.
Poche mungiture si mischiano al caglio di capretto per ottenere la cagliata. Questa viene lavorata per filare la pasta e modellare così la forma, a pera o a cilindro, e dal peso di circa tre chili. Dopodiché si mette in salamoia e si lascia stagionare da un minimo di 4 a un massimo di 18 mesi.
Alla fine si ottiene un prodotto unico, dal sapore dolce e burritoso e con piacevoli note di piccante. Inoltre, con una piccola percentuale dello stesso siero si producono anche fiordilatte e altri latticini.
IL PROVOLONE DEL MONACO E LA RISTORAZIONE
“Il provolone del monaco piace così tanto ai Napoletani che il 95% dei ristoranti della provincia lo ha inserito in menù,” afferma Roberto. Infatti, questo formaggio viene servito prima di tutto come condimento su alcune specialità tipiche.
Le più famose sono la pasta alla Nerano (spaghetti, zucchine e provolone) e la pasta e patate, senza dimenticare che questo provolone è favoloso sulle pizze e ovviamente si può mangiare sia a inizio che a fine pasto. Se poi volete portarvelo a casa il prezzo è di 30 euro al chilo.
Dunque, il provolone del monaco è un formaggio pregiato prodotto solo con il latte della penisola sorrentina, più l’aggiunta di quello ancor più prezioso dell’agerolese, una mucca la cui popolazione cresce di poco è vero ma in modo continuo. Inoltre, grazie alla dop la produzione è addirittura triplicata sancendo un successo che solo fino a pochi decenni fa era insperato.
Un successo che Totò ed Eduardo De Filippo avrebbero sicuramente salutato con entusiasmo, visto che da amanti della pasta alla Nerano spesso, in vacanza, sospiravano all’odore di questo formaggio favoloso.
di Gianluca Bianchini 30/10/2021