PIANO STRADA E’ UNO DEI LOCALI PIU’ IN HYPE DEL MOMENTO E META DEI GASTROFICHETTI DELLA CAPITALE MA AD ATTIRARE L’ATTENZIONE E’ PIU’ IL CONCEPT E IL LOCALE CHE I PIATTI CHE ESCONO DALLA CUCINA
Articolo di Manlio Grey
Piano Strada, che delusione! Sono stato a mangiare da PianoStrada a due mesi dalla nuova apertura. Il locale si è spostato a via della Luce, nel cuore di Trastevere, con una location rinnovata e che sta attirando curiosi, di tanti turisti e catturato l’attenzione di molti addetti ai lavori.
Oggi, a Roma, se non vai a mangiare da Pianostrada non sei nessuno, sembra quasi che tu non abbia diritto a parlare di food e cucina. Buona stampa, ottime pierre, concept in linea con quello che oggi i social e i giornali vogliono raccontare ed ecco che un locale assume una identità “digitale” che poi non corrisponde alla realtà. O meglio, delude quando lo provi a connettere con la realtà.
Inutile girarci intorno: la location è sicuramente il valore aggiunto. Bravi gli architetti, bravi gli interior design, brava la proprietà che ha messo in piedi questo locale. Tanto investimento, tanto studio, tanta raffinatezza. Strepitosa la cucina a vista, in cui campeggia un Green Egg, belli gli chef lindi e pinti che ti spadellano tutto magicamente sotto il naso.
PIANO STRADA DAL MENU’ IDEE POCO CHIARE
Il problema è che a questo “allure” non corrisponde una cucina all’altezza. Tanto concept, ma poca ciccia. Dietro alla voglia a tutti i costi di essere originale ci sono idee confuse (ma questa confusione, mi domando, sarà voluta? magari è un trend del momento che ci sfugge), personalità del menu’ che si intrecciano in una proposta poco chiara. Piano Strada vuole essere un luogo informale e strizzare l’occhio ad una idea di cucina di condivisione, un convivio di metropolitano riuscito bene a nostro avviso solo sui social. E’ un’osteria moderna e di design pensata per chi non ha problemi a tirar fuori dalla tasca qualche banconota verde.
Nella realtà i piatti sono o troppo salati ( vedi lo spago con le vongole) o troppo flat (vedi la proposta del salmone), ma la vera delusione è stata il tonno. C’è un motivo per venire qua la prima volta: la curiosità e la vanità di flexare l’experience sui social. Di contro non c’è un reale motivo per tornare. Non pervenuti piatti memorabili. Assenti virtuosismi dello chef.
I prezzi sono da stellato, il servizio è informale, quasi da osteria (senza nulla togliere alle osterie). Ok, ci sta pure che i prezzi siano alti e non discuto la scelta di puntare ad una fascia alta, ma a quelle cifre bisognerebbe affiancare una proposta gastromica veramente all’altezza e, sinceramente, manca. Troppo modesto per essere un fine-dining, troppo complesso per essere un ristorante semplice, troppo confusionario per far emergere quello che vorrebbe essere (domanda: ma che vuole essere questo ristorante?)
Il giudizio, sia chiaro, non sarebbe cambiato nemmeno se avessi speso la metà. Nemmeno il finale ti lascia il sorriso. I dolci non fanno vibrare il goloso che è in me. Da segnalare l’abuso di sifone nel tiramisù. Forse perchè proporre un tiramisù standard è una prassi decisamente fuori moda.