KANDEA NON È SOLO UNA CANTINA, È ANCHE UNA MASSERIA STORICA, UN PATRIMONIO DELLA CAPITANATA, UN TERROIR UNICO E SOPRATTUTTO È SINONIMO DI VINI IMPORTANTI, ROSSI AUSTERI E BIANCHI CHE VALE LA PENA ASPETTARE
A volte certe scelte sembrano prive di senso, dettate più dal capriccio e dalla voglia di fare che non da un sano ragionamento.
La passione per l’enologia, ad esempio, non basta a fondare un’azienda vinicola se poi mancano tutte le altre condizioni per avviare una produzione importante, come possono essere un terreno idoneo alla vite e un clima favorevole alla sua crescita.
È questo quello che deve aver pensato Antonio Tullio Cataldo, quando papà Francesco gli ha comunicato la sua decisione: impiantare un vigneto a pochi chilometri da Candela (Foggia), in contrada Piscioli di Basso, un’area nota per essere la terra del grano.
Una terra, dunque, solcata dalle onde dorate delle spighe, dove i grappoli d’uva prima di allora non si erano mai visti, figuriamoci una cantina! Il timore di andare incontro a una delusione non era infondato. Ma per fortuna tale è rimasto. Solo un timore.
Francesco in realtà ci aveva visto giusto. Due anni prima aveva convocato una commissione di esperti, affinché identificasse all’interno della tenuta di famiglia i terreni migliori per dar vita al suo progetto eonico.
Grazie al lavoro di questi esperti, sono stati selezionati 20 ettari sui quali oggi crescono uve a bacca bianca e a bacca nera. Quindi da un parte, Fiano, Falanghina, Greco e Bombino Bianco, dall’altra Aglianico e Nero di Troia.
È così che nel 2005 è nata Kandea, la cantina dell’Azienda Agricola Fratelli Tullio Cataldo (Antonio e Nicola), una cantina che ha nel suo dna la capacità di sorprendere e realizzare quello che a prima vista sembra impossibile.
LA TERRA DI MEZZO E IL SUO TERROIR
I vigneti della famiglia Tullio Cataldo si trovano nella cosiddetta terra di mezzo, un’area periferica della Capitanata che lambisce i confini della Campania e della Basilicata.
In questo fazzoletto di terra, a 250/300 metri sul livello del mare, confluisce un’incredibile ricchezza di minerali provenienti dal Vulture e dalle montagne dell’Irpinia e del Sannio.
“Questa mescolanza di minerali si deve al dilavamento secolare dei terreni, a cui contribuisce il fiume Ofanto,” afferma Antonio.
Parliamo di suoli calcarei e marnoso-argillosi, favorevoli alla vite. In più, altri due elementi concorrono a creare un ambiente pedoclimatico ottimale: il vento e il sole.
“Nei nostri vigneti – spiega Antonio – si incontrano i venti caldi del tavoliere con quelli freddi del Vulture e dell’Irpinia. Questo incontro favorisce l’escursione termica che è vitale per la vite e permette all’uva di esprimere i suoi profumi spontanei”.
“Per essere più precisi – continua – i nostri vigneti si trovano in una gola, attraversata da un soffio fresco e costante che dura anche otto-nove ore al giorno. Siamo dunque in una delle zone più ventilate d’Italia”.
“Una caratteristica pedoclimatica che inibisce gli agenti patogeni e infatti le malattie fungine come la peronospora da queste parti sono rare”
Infine, per completare il quadro va aggiunto un vero e proprio bagno di luce. “Le ore di esposizione al sole qui sono superiori alla media di molti vigneti italiani,” conferma Antonio.
VINI BIANCHI CHE EVOLVONO
Tanti aspetti positivi dunque ma anche tante difficoltà. Quando l’azienda si è affacciata sul mercato con la prima annata, quella del 2013, si è presentato un imprevisto. Molte bottiglie di vino bianco sono rimaste invendute con il conseguente rischio di perderle e rimetterci economicamente.
Col tempo però queste bottiglie di fiano, falanghina e greco hanno regalato una sorpresa: In cantina si conservavano bene sviluppando aromi secondari e terziari. I bianchi di Kandea, dunque, sono vini da evoluzione, un po’ come le docg della Campania.
Questa sorprendente longevità mostra tutto il suo potenziale se si mettono a confronto due bottiglie di annate diverse. Ad esempio, un Anaïs 2022 con un Anaïs 2014, entrambi prodotti con il vitigno greco in purezza.
ANAÏS 2022 E ANAÏS 2014 A CONFRONTO
L’Anaïs 2022 sfoggia un mantello giallo paglierino con vistosi riflessi dorati, sprigiona un profumo elegante e delicato con sentori floreali e di frutta gialla ed esotica (ginestra e susina, ananas e mango) e si avverte anche una nota amarognola che rimanda al pompelmo e alla mandorla.
Nell’Anaïs 2014 i profumi sono certamente più evoluti, come si evince dalla sua livrea sgargiante, di un giallo dorato intenso. Si avverte subito la pietra focaia e se prima (nell’Anaïs 2022) la nota di vaniglia era solo accennata adesso la si percepisce chiaramente. In più il bouquet si arricchisce di composta d’albicocca, effluvi balsamici e accenni di miele.
Come la sua versione più giovane, l’Anaïs 2014 è un vino di corpo che offre un sorso saporito, ma con una morbidezza diversa, più burrosa. Permane una bella tensione acido sapida e un’intensa persistenza gusto olfattiva che chiude con una nota citrina che va a pulire il palato. Perfetto in abbinamento con piatti strutturati a base di pesce e carne.
Insomma, il confronto fra queste due bottiglie mostra il passaggio da un vino pronto e dall’ottimo profilo organolettico a uno maturo e armonico, mantenendo una straordinaria vivacità di colore. Con l’Anaïs 2014 Il livello raggiunto è quello dell’eccellenza.
KANDEA, LA MISSION: VINCERE E CONVINCERE
Sono proprio questi bianchi capaci di evolvere ad essere stati portati in concorso a Radici del Sud (evento ospitato a Bari che premia i vini del Mezzogiorno), ottenendo nel 2023 due primi posti (Anaïs, 100% Greco 2019 e Biancofiore, 100% Fiano 2021) e un secondo posto (Costanza, 100% Falanghina 2019)
Riconoscimenti che hanno fatto emergere un paradosso. Seppure la Puglia li ha premiati è proprio in Puglia che questi vini (nella loro versione più evoluta) vendono meno. “Perchè i pugliesi – afferma Antonio – sono abituati ad essere serviti in modo semplice, si accontentano dei bianchi giovani che poi sono quelli dell’annata in corso”.
La sfida della famiglia Tullio Cataldo consiste, dunque, nel convincere i propri corregionali ad aspettare, nel far capire loro l’importanza dell’affinamento in bottiglia e della maturazione in botte. “Abbiamo infatti in progetto di produrre dei bianchi che fanno la sosta in legno,” annuncia Antonio.
Un’ambizione la sua motivata dal fatto che questi vini sono tagliati per la ristorazione stellata e sono richiesti anche da quei piccoli ristoranti che vogliono distinguersi con un’offerta locale e al contempo esclusiva.
ROSSI, ROSATI, PASSITI E BOLLICINE
I rossi invece sostano già in legno. È il caso, di due vini austeri, Cherrug e Aragona, rispettivamente 100% Nero di Troia e 100% Aglianico.
Il primo (Cherrug), affinato 24 mesi in barrique, presenta al calice una livrea granata e riflessi violacei. Potente ed elegante, vanta sentori evoluti (ciliegia sotto spirito, tabacco, prugna cannella e goudron) ed è perfetto in abbinamento con arrosti, selvaggina e formaggi stagionati.
Il secondo (Aragona) nasce da una selezione particolare. A seconda degli anni si sceglie una varietà di aglianico tra quelle presenti in vigna (Taburno, Taurasi e Vulture). Nasce così un vino suadente, color rubino con note eteree e di frutta matura.
Altre perle della produzione di Kandea sono: i rossi vinificati in acciaio, Lanaro (Nero di Troia) e Altavilla (Aglianico); il rosato Al-Malik, un blend sontuoso di Aglianico e malvasia; Tari, un passito prodotto con moscato bianco e sémillon; e Bolla d’Oro, un metodo charmat realizzato con l’esuberante freschezza del bombino bianco.
KANDEA È CULTURA E TERRITORIO
Tutte queste bottiglie hanno in comune i nomi ispirati a Federico II. Biancofiore, Costanza e Anaïs sono state tre donne importanti per l’imperatore Svevo. Al-Malik è il sultano con cui è venuto a patti durante la seconda crociata, Cherrug evoca la sua passione per la Falconeria. Parliamo quindi di bottiglie ricche di gusto e cultura storiografica.
“Questo è stato il terreno di caccia di Federico II. – racconta Antonio – Lo testimonia una pietra antica ritrovata nella nostra masseria sulla quale è impressa l’immagine di un falco”. Questa effige ora è diventata il simbolo dell’azienda stampato su ogni etichetta.
“Inoltre – continua Antonio – i lavori di restauro e ammodernamento hanno fatto emergere uno splendido mattonato antico. Anche per questo motivo consideriamo la nostra cantina un patrimonio da preservare e condividere con chi ha voglia di visitarlo”.
La degustazione in azienda quindi ha questo scopo, condurre prima alla riscoperta di una masseria storica della capitanata per poi visitare la cantina, dove si può assaggiare una verticale di vini al fine di comprenderne l’evoluzione. In più, si possono visitare i vigneti e conoscere tutti i protagonisti di questa bella realtà. Ad esempio, il cantiniere storio Pasquale Marino.
Questa è Kandea, un’azienda che prende il nome dal vicino borgo di Candela per omaggiarlo e condurlo per mano, “perché solo se crescono comunità e territorio cresce anche la nostra cantina,” afferma Antonio.
Il suo vino è buono e se lo si sa aspettare diventa ancora più buono. Molti lo hanno già capito, per tanti può diventare una piacevole scoperta.
di Gianluca Bianchini 24/09/2024