NEL PAESE DELLE AQUILE REGNANO GLI AGNELLI ALLA BRACE UN VIAGGIO GASTRONOMICO PER MANGIARE IN ALBANIA TRA INGREDIENTI GENUINI E MAI DIMENTICATI ALLA SCOPERTA DEI SAPORI DI UNA CULTURA ANTICA CHE CONOSCIAMO POCO MA VICINISSIMA A CASA NOSTRA
È lì, dietro l’angolo. Basta passare quel canale d’Otranto che sembra di poter attraversare a nuoto, in certi giorni tersi, prima che “giri” lo scirocco. Forse il suo nome ha a che fare con l’alba. O col bianco delle cime innevate che ai salentini appaiono fugaci alle prime luci, nascondendo per un istante il sole del mattino. L’Albania comincia in mare e sa di terra, nazionalista e laica, ospitale e contraddittoria: file di Mercedes ultimo modello agonizzano in autostrade intasate da mandrie in transumanza, tacchi a spillo e hijab, alberghi miliardari e pozzanghere, traghetti strapieni che sbarcano turisti europei ed un fiume di emigranti che rientrano. Ma soprattutto il cibo succulento, i barbecue sempre accesi, la tradizione pastorale e contadina che fa della carne stendardo e vanto collettivo. Nel Paese delle aquile potete assaggiare i migliori arrosti dei Balcani e lo yogurth più buono del Pianeta. Involtini di frattaglie simili ai turcineddi, quasi Valona fosse una succursale di Brindisi. Polpette fritte di memoria ottomana e sublimi carni cucinate nella terracotta. Arrivarci è un attimo, tornare a casa un dispiacere.
MANGIARE IN ALBANIA: LO CHEF ALTIN PRENGA, DALLA DITTATURA A SLOW FOOD. IL FUTURO DELLA GASTRONOMIA ALBANESE
Lo chef Altin Prenga, che ha aderito all’Alleanza Slow Food in Albania, nel suo ristorante Mrizi i Zanave propone i sapori arcaici della tradizione. Parlando a Slow Food, spiega che «anche la gastronomia è una lingua, con il suo alfabeto, i suoi dialetti, il suo senso di identità e un legame a un territorio ben preciso. Le lettere di questa lingua sono gli ingredienti, che scelgo tra i più poveri della nostra tradizione, per dimostrare che per fare buona cucina non si deve necessariamente seguire un approccio gourmet». Cresciuto – anche professionalmente – nelle province del nord Italia, lo chef è rimasto colpito dall’orgoglio con cui custodiamo le nostre ricette tradizionali. «Un senso di appartenenza al territorio autentico, tramandato di padre in figlio, pressoché sconosciuto a noi albanesi: il regime comunista ha infatti minato alla base la sopravvivenza della nostra gastronomia di territorio, bandendo sistematicamente le feste religiose, e quindi la ricorrenza dei pasti festivi, la coltivazione degli orti e l’allevamento su piccola scala. Col risultato di distruggere la nostra cultura gastronomica». Ma la faticosa riscoperta dei gusti e degli ingredienti antichi, intrapresa da Altin Prenga, ha avuto successo. Nel suo ristorante passano ora anche ministri, deputati e ambasciatori. «Il futuro della gastronomia albanese – dice – avrebbe tutte le carte in regola per essere roseo: da noi c’è un’abbondanza straordinaria di ingredienti di prima qualità, biologici, impensabile nei Paesi occidentali».
MANGIARE IN ALBANIA: L’AGNELLO DI KARABURUN
Valona (Vlora, in albanese) è una città dal panorama mozzafiato: il golfo abbracciato dalla penisola di Karaburun e l’isola disabitata di Sazan a far da vedetta. Karaburun, 15 chilometri di colline incontaminate, insenature d’acqua dolce, grotte e baie raggiungibili solo via mare, deve la sua “fortuna” ad una base Nato che impedisce il passaggio verso la penisola. Una sorta di paradiso naturale proprio di fronte alla costa dello struscio più pazzo, infarcita di alberghi e ristoranti. La sua fama è dovuta anche alla mish (carne di agnello o capretto) i pjekur (arrostita allo spiedo). L’agnello di Karaburun e delle montagne nei dintorni di Valona non ha eguali: si dice che i pastori albanesi scambino un capo contro tre nei baratti con i colleghi macedoni.
MANGIARE IN ALBANIA: AGNELLO, YOGURT, PASTERMA ED UN BICCHIERE DI RAKI
Piatto forte della gastronomia albanese, la carne è di ottima qualità: la vicinanza al mare ed i pascoli vergini le danno tenerezza ed un sapore intenso e ruspante. Intinta in salse kosi, una crema di yogurt acido con cetriolo e aglio, accompagnata da formaggi genuinamente corposi, dal rakì – una grappa bianca liscia – e da un servizio spartano, la mish i pjekur va giù fin troppo facilmente. Si fa allo spiedo, girandola sopra la brace, oppure al forno. Un’autentica prelibatezza l’agnello o il capretto bollito nel latte. Si trova anche il pastërma, il cui nome ricorda il pastrami ed in effetti è una carne conservata. In questo caso un prosciutto affumicato di capra, speziato con peperoncino, cumino e semi di finocchio e lasciato seccare all’aria aperta.
MANGIARE IN ALBANIA: KUKUREC, IL CUGINO DEL TORCINELLO
Il kukurec è un altro antico piatto albanese che si preparava, durante le feste, con le interiora dell’agnello. Ricorda i torcinelli o gnummareddi nostrani. Infatti dopo aver fatto aromatizzare con aglio e pepe le frattaglie spezzettate (eventualmente bollite), si alternano in uno spiedo che verrà poi avvolto con il budellino d’agnello. Si Aggiunge un po’ di olio, prezzemolo, aneto tritato, foglie d’alloro e si passa sulla brace finché prende un invitante colore dorato. Difficile trovarlo nei nuovi locali della riviera, è un must nei ristoranti lungo le statali e fuori città. Oppure a casa di qualche amico.
MANGIARE IN ALBANIA: TAVE BALTE, LA CARNE COTTA E LA TERRACOTTA
Si chiama tave balte ed tra i più richiesti in Albania, in particolare durante le cerimonie. Si tratta di un piatto di carne di vitello cotta in una pentola di terracotta o di coccio, il che la rende tenera dandole al contempo un invitante sapore affumicato. Alla carne va aggiunto peperone e cipolla, formaggio molle di vacca, un cucchiaio di besciamella, aglio, prezzemolo, rosmarino, origano e peperoncino. Ne esiste una gustosissima variante con il fegato. La pentola di coccio può essere messa in forno o adagiata sulle braci roventi, magari mentre sulla sua testa gira uno spiedo d’agnello di Karaburun. Insomma, per i carnivori l’Albania è uno dei paradisi nascosti da scoprire e gustare. Con sapori genuini ed antichi che ricordano la nostra cultura contadina. Dove l’olio è buono e dove gli italiani sono di casa, ben visti ed accolti con tutti i loro difetti ma anche la loro umanità.
Di Silvia Strada 10/04/2016
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