UN GENIALE RISTORATORE E UN CLAMOROSO MACELLAIO. DA QUI NON SI SCAPPA. MA POI? È IL NON PLUS ULTRA O NIENTE DI CHE? ARROSTO O SOLTANTO FUMO? ECCO UN RITRATTO INEDITO DI DARIO CECCHINI
Ve la ricordate la guerra delle statue? Alla fine del 2017, in America sono stati rimossi alcuni monumenti di veterani sudisti – cioè quelli che combatterono sul fronte confederato, quello degli stati favorevoli allo schiavismo – e si scatenò una gran polemica sulla rimozione dei simboli del passato.
Non avremmo proprio riaperto un questione così delicata se non fosse che anche noi ci troviamo a dover decidere che posizione prendere su un monumento. E Dario Cecchini, con quel sorriso sornione e la rara capacità di accattivarsi la simpatia di tanti, è tra i più grandi monumenti della macelleria italiana. Eppure, più volte abbiamo sollevato alcuni dubbi su di lui: è un mito o un bluff?
Bene: qui non vogliamo fare come i piccioni, che sui monumenti ci scacazzano impassibili e ingrulliti. Ma nemmeno schierarci in modo dogmatico a difesa del “Generale della Ciccia”. Proviamo allora a fare il punto su questa istituzione della gastronomia, con un’enciclopedia del Cecchini dalla A alla Z.
Prendete bandiere e striscioni e scegliete la vostra curva: qualche lettera sarà un gol per il buon Dario, qualcun’altra sarà un punto a suo sfavore. Fischio d’inizio!
A come Antica Macelleria Cecchini
D’accordo, ancora un momento di suspense e convenevoli. Ma proprio non si può non partire da qui. In una ripida stradina acciottolata di un paesello toscano (vedi alla lettera P) si trovano le diverse attività del Nostro. La macelleria si trova proprio di fronte al suo primo ristorante, Solo Ciccia, aperto la sera da giovedì a sabato e la domenica a pranzo.
Qui si possono assaggiare insoliti tagli di manzo in 6 portate fisse. Dall’Antica Macelleria Cecchini si sale una rampa di scale e si arriva in una sala interna con terrazzone e lunghi tavoli. È il Mac Dario (ora Dario+), l’hamburgheria del Cecchini che venerdì e sabato a cena diventa una steck-house: l’Officina della Bistecca. Bene, abbiamo fatto le presentazioni, iniziamo ad andarci giù pesanti.
B come Buford
Se volete un po’ di retroscena sul personaggio di Cecchini (e di altri pezzi grossi della cucina) dovreste leggervi “Calore“, il reportage di Bill Buford. Uno scrittore poco allenato, inesperto e di mezza età, un “uomo da scrivania” si lancia nel mondo notoriamente complicato e angusto delle cucine dei ristoranti di lusso newyorchesi. Buford è anima e mente della rivista “Granta” ed editorialista del “New Yorker”. Conosce il celebre chef italoamericano Mario Batali durante una cena e decide di diventare il suo “schiavo” nelle cucine di uno dei migliori ristoranti della Grande Mela.
“Calore” è il racconto del suo apprendistato, duro e spesso umiliante ma anche incredibilmente divertente, tra fallimenti e speranze, cadute e successi, in un turbinio di esperienze tra star culinarie televisive, chef e aiutanti, ristoratori, vere massaie italiane e macellai toscani (Dario, appunto) incontrati durante un viaggio in Italia alla scoperta dei segreti di un’arte antica.
C come cottura
Lo scorso agosto siamo stati all’Officina della Bistecca per assaggiare il “menù Officina”. Le porzioni sono anche troppo abbondanti, il rapporto qualità-prezzo davvero buono, anche perché si può scegliere il menù che si preferisce. Ma c’è un ma. Ed è grosso come una casa, per noi fissati di carne: in qualsiasi ristorante carnivoro del mondo si può scegliere il livello di cottura. Da Dario non è stato possibile farlo. La carne è arrivata in tavola a cottura media. Per gli appassionati del “sangue”, decisamente troppo cotta. Può essere stato un caso, ma non siamo gli unici ad averlo notato: sul web ci sono diverse recensioni simili. E del resto è proprio a questo che servono le recensioni: a dare un parere, mica a dettar legge. Lasciatecelo dire, allora: per noi è stata una delusione, una profonda delusione.
D come divo (ma anche come Dante)
Il vero spettacolo da Cecchini, poche storie, è proprio il Cecchini. Con occhio esperto osserva la carne che pende dal soffitto della sua macelleria, la esamina, la accarezza e la annusa, la culla come fosse un pupo o la bacia con trasporto. Per non parlare di come declama Dante. Dario non è solo un magnifico macellaio, è un saltimbanco con lo sguardo assassino e il sorriso malizioso, una star della mannaia, è un cervello da showman montato sul torso di Hulk. Non diventi il macellaio più famoso del mondo solo con il coltello: ci vuole stile.
E come Etica
“L’etica i macellai ce l’hanno nel Dna, i macellai veri”. Con questa frase Dario ci ha spiegato, in questa bella intervista, quanto l’arte del macellaio si basi su solide basi morali. Il sacrificio dell’animale è una celebrazione della vita. Il macellaio ha il compito di portare questo cibo nobile sulle tavole per far sì che diventi nutrimento per il corpo e salute dell’uomo. Per questo Dario ci tiene a sottolineare quanto importante sia il rispetto dell’animale: “Una brutta vita, cibo industriale e medicine per la crescita sono una forma di dolore per gli animali. Dolore che poi ci viene trasmesso”.
F come funerale
Non servirono le missioni della Regione Toscana a Roma e a Bruxelles né gli appelli disperati di macellai, ristoratori e addetti ai lavori. A inizio anni 2000, causa allerta “Mucca Pazza”, la fiorentina è stata proibita. Bisogna dare atto a Cecchini di essere stato sempre uno dei più valorosi nella battaglia contro questa maniacale rigidità, anche officiando il funerale della fiorentina. Il macellaio poeta ha venduto in un’asta di beneficienza le ultime duecento bistecche: “Per noi è come portarci via l’Inferno di Dante o la Cupola del Brunelleschi”, ha detto. Chapeau. Una battaglia di civiltà ciccia.
G come “Già tagliata”
Un altro punto a sfavore, segnalato non solo da noi ma anche dagli amici di Bbq4All:
I camerieri si presentano con le bistecche già tagliate in ‘cubotti’ e, a seconda del pezzetto che ti finisce nel piatto, puoi ritenerti più o meno fortunato. Alcuni pezzi si presentano più morbidi al taglio, alcuni più tenaci. Taluni presentano una bella crosticina, altri con la crosticina non pervenuta. Se hai la sfortuna di ritrovarti pezzi di tessuto connettivo, che non riesci a tagliare nemmeno col coltello, non ti resta che sperare di avere accanto gente che si è portata il cane
Anche nel nostro caso la scena è stata più o meno questa: cameriere che serve una mega bistecca già tagliata a mo’ di tavolata di matrimonio. Ok, la formula è questa ma i piatti arrivano freddi e la carne pure. Non ci siamo.
H come hater
Va bene, un po’ è colpa nostra, con quella storia degli striscioni e delle bandiere. Ma perché non si può criticare Dario Cecchini?
I come Interpol
“Che cos’è il genio?”, chiedeva la voce fuori campo in Amici Miei, prima di un “colpo” del Necchi durante una zingarata. “È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”. Nel 2013 il maestro della bistecca ha ideato un passaporto identico in tutto e per tutto a quello degli stati dell’Unione Europea. La copertina, il numero delle pagine, lo stile e la serigrafia erano gli stessi ma a un occhio ben attento non poteva sfuggire la peculiarità del nome del paese d’appartenenza: “Repubblica Gastronomica di Panzano”.
L’obiettivo era celebrare l’eccellenza culinaria del borgo toscano. Ma la somiglianza del documento “gastronomico” con quelli ufficiali ha insospettito un agente americano della polizia internazionale. L’Interpol ha avviato un’indagine, peraltro subito chiusa. “Lo considero un complimento perché vuole dire che siamo stati molto bravi nel fare il nostro lavoro”, ha riso Cecchini. “E pensare che io stesso, pochi mesi fa a New York, mostrando questo passaporto sono riuscito a superare i severissimi controlli di sicurezza post-11 settembre per entrare in uno dei grattacieli della città”. Che cos’è il genio?
L come logorrea
Un punto che non ha nulla a che vedere con la capacità di cucinare o meno la bistecca alla fiorentina: battute a doppio senso, genuina simpatia e ruvida toscanità sono la cifra stilistica del Cecchini e per molti aficionados un motivo in più per fermarsi a Panzano. Ma c’è anche chi li legge come tracotanza e superficialità e non apprezza la spavalderia bonaria che trasuda da ogni dettaglio: dalle magliette dei camerieri su cui sono stampate citazioni alla Cecchini (“Viva la ciccia e chi la stropiccia“), al fatto che queste semi-citazioni siano ripetute ad ogni pie’ sospinto, perfino sulle tovagliette stampate. Noi non siamo esattamente di questo parere, sia messo agli atti. E gli americani ne vanno pazzi. Ma secondo i puristi del mestiere tutto questo non depone a suo favore. C’è chi dice – e basta farsi un giro tra i commenti di TripAdvisor per notarlo – che Dario dovrebbe vendere più arrosto insieme al fumo.
M come macellaio
Si sta parlando di tagliare la carne, non di ristorazione. E allora M come Mito, perché qui davvero non c’è niente da dire: lo stesso New York Times ha definito Dario Cecchini “il macellaio più famoso del mondo”. E anche uno dei più bravi, aggiungiamo noi. Macellai inarrivabili da otto generazioni, i Cecchini su questa sponda non hanno proprio nulla da temere. Del resto, quello che c’è da dire lo dice lo stesso Dario:
Cerco di mantenere alto il valore del mio lavoro e la tradizione della mia famiglia. Per me un uomo deve essere come un albero: le radici nella terra e la chioma in cielo. Deve avere cioè i piedi ben saldi nella tradizione, per prenderne nutrimento, e la testa nel contemporaneo, libera di creare con responsabilità e buonsenso. Avere rispetto dell’animale, della sua vita, della sua morte, e usare tutto fino all’ultimo tendine con responsabilità è quello che faccio tutti i giorni da ormai 40 anni. Questo sono io: un macellaio dal naso alla coda.
Questo è parlare.
N come Nas
Un brutto colpo, anche se poi non fu niente di grave: nel 2008 i militari del nucleo antisofisticazioni di Firenze sequestrarono quasi un quintale di carne scaduta, congelata e conservata in ambienti sporchi nel negozio del Cecchini. Lui si è difeso spiegando che la carne non doveva essere venduta e che non era scaduta perché nei congelatori la carne dura almeno un anno. “Erano rimanenze del febbraio scorso – ha detto Cecchini – quando il negozio è rimasto chiuso per ferie. Francamente mi ero pure dimenticato che fosse lì. Di solito le eccedenze le diamo in beneficenza al Centro per la vita di Campi Bisenzio e alle suore di Mercatale. Era comunque carne perfettamente buona da mangiare”. Seimila euro di multa, ma soprattutto una bella batosta al livello di immagine.
O come olio
Tocca tornare a parlare del Cecchini ristoratore, ma questa volta per dargli una bella medaglia: la scelta dell’olio extravergine che si trova nei suoi locali, sul quale non lesina e che è davvero spettacolare, con le verdure del pinzimonio e col pane fresco e croccante.
P come Panzano in Chianti
Il castello e il borgo sottostante, un paesaggio a perdita d’occhio di boschi, vigneti e oliveti della Toscana Centrale. Quei tramonti da cartolina che tolgono il respiro. La bellezza di Panzano in Chianti non è merito di Dario, ma è uno degli assi nascosti nella manica esperta del macellaio poeta. Insomma, se essere toscani non significa necessartiamente essere grigliatori provetti, diciamo però che un pranzo immersi in un’atmosfera da film, in quella toscana verde, luminosa, profumata, fa sembrare tutto ancora più bello e tutto ancora più buono.
Due piccole dritte: se passate a Panzano il 25 aprile, sappiate che la festa della Liberazione viene celebrata con la Festa di Buona Stagione durante la quale viene organizzata una piccola sagra ed una processione con tanto di sfilata in costumi d’epoca. Mentre il terzo weekend di settembre, nella piazza principale sono aperte degustazioni di vino a tutti i presenti in occasione di Vino al Vino, una ricorrenza durante la quale i produttori locali espongono le loro specialità.
Q come “Quattro dita”
Così parlò il poeta: “La bistecca alla fiorentina può solo essere alta 4 dita. Peso intorno ai 2 kg. Altrimenti non è fiorentina. L’operazione più importante è il taglio, e qui, se permettete, tengo la tecnica per me. Poi la temperatura. La bistecca che non sta fuori dal frigo per almeno 6 ore non è degna della brace”. Promosso.
R come riscoperta
Uno dei motivi per cui Dario Cecchini ci piace tanto è la sua filosofia. Quella della sacralità del lavoro e del rispetto dell’animale, per esempio, del quale va usato fino all’ultimo tendine. E quella dell’albero con le radici in terra e la chioma in cielo. Uno dei casi più emblematici di questo stare con i “piedi ben saldi nella tradizione, per prenderne nutrimento, e la testa nel contemporaneo, libera di creare con responsabilità e buonsenso“, è il tonno del Chianti.
Sì, avete letto bene: si tratta di una ricetta tipica toscana che, a dispetto del nome, si prepara con carne di maiale, erbe e olio d’oliva. Dopo aver spurgato nel sale per tre giorni delle fettine di lonza, le si cucina circa 5 ore nel vino bianco con erbe e spezie. E poi si immergono in vasetti pieni d’olio. Una ricetta contadina: serviva a conservare la carne anche durante i mesi estivi quando non c’erano i frigoriferi. Grazie ai racconti di un anziano signore, Cecchini l’ha riscoperta e reinterpretata. Dopo la lunga macerazione all’interno dell’olio la carne di maiale assume un sapore delicato ed una consistenza molto tenera che ricorda proprio quella del tonno.
S come Spagna
Lo dichiara, lo rivendica e ti spiega pure il perché: “Il mio manzo e il mio maiale non hanno razze particolari e sono allevati in Catalogna, Spagna, da persone di cui ho estrema fiducia da più di 20 anni. Qualche volta il manzo è Chianino e viene dalla Famiglia Manetti della splendida Fattoria di Fontodi a Panzano in Chianti“.
L’abbiamo già scritto una volta: non spetta a noi dire se il fatto che Cecchini lavori carne spagnola sia un pregio o una macchia nella sua carriera. Ma possibile che non ci sia stato nessun allevatore italiano in grado di fargli cambiare idea? Nessuna razza italiana è paragonabile alle spagnole? Che il macellaio più famoso d’Italia utilizzi e venda principalmente carne proveniente dalla Catalogna potrebbe essere vista come la sconfitta del Made in Italy. Anche se nessuno può obbligare Dario a scegliere i prodotti che lui ritiene più opportuni per la sua attività, qualcosa non ci torna…
T come turistico
L’irriverente goliardia, le frasi urlate e le pantomime, la gocciolante toscanità. I turisti gongolano e scattano foto a raffica. Ma infatti “è un posto per turisti!” come dice qualche conoscente di zona, “si sa che fanno solo scena“. Tolta la simpatica baldoria, il ristorante di Cecchini è un buon posto dove mangiare una bistecca appena sopra la media, non molto di più. Il resto lo fa l’ambiente, la fama del proprietario e la convinzione che “se tutti dicono che è la migliore bistecca al mondo, allora deve essere così”. Cecchini è un macellaio esperto e affidabile, un ottimo intrattenitore, un uomo d’affari eccellente, ma come ristoratore c’è di meglio. Tutto qui.
U come umiltà
C’è poco da dire: Dario da macellaio è finito sulle colonne del New York Times, ospite di eventi internazionali, è stato incoronato a maitre à penser e messo sul piedistallo da televisione e schiere di fan adoranti. Ma tutto sommato è uno che non se la tira. E in questo mondo di gastrofighetti e insopportabili saputelli culinari, avercene di Cecchini! In una simpatica intervista ad Agrodolce, mentre serviva i clienti sulle note degli AC/DC, una costante nella sua macelleria, ha spiegato: “Io sono per il rock food: credo che sia necessario mettere energia nel cibo. Bisogna tornare al cibo semplice, libero da teoremi e infrastrutture. Il cibo è cibo, è un piacere, oltre che una necessità, e io cerco di ridargli leggerezza, non di trasformarlo in un argomento di conversazione che può diventare pedante e quindi pesante”.
V come vegetariani
Tu quoque Dario! Com’è possibile che uno capace di friggere le patatine nel grasso di manzo, poi si svenda alla moda imperante: il vegetarianesimo. Nei suoi locali il Cecchini offre, su esplicita richiesta dei clienti, menu vegetariani. E se da una parte (forza, un bel respiro, stiamo per dirlo…) è perfettamente comprensibile e risponde sia a un’esigenza di mercato che alla filosofia umile e rispettosa del Nostro, dall’altra parte l’antivegano che è in noi strepita e si dispera all’idea che anche un tempio della carne come quello di Panzano in Chianti abbia ceduto alle lamentele del cibo politicamente corretto. Non c’erano già abbastanza alternative meat-free in giro per il mondo?
Z come zero
Nel senso che non si butta via niente, zero. Zero scarti, zero sprechi. “A un certo punto ho avuto bisogno di mettere le persone a tavola”, dice Cecchini. “Non riuscivo ad andare oltre la mia maniera di comunicare da questo banco”. E andare oltre il bancone significava spiegare al mondo il “dilemma del manzo”, ovvero: “L’è tutto bono anche le ossa”.
Di Enrico Cicchetti 27/02/2018