IL BENESSERE ANIMALE E’ UN CONCETTO MOLTO ELASTICO : I CONSUMATORI HANNO UN’IDEA, I PRODUTTORI UN’ALTRA E LA GRANDE DISTRIBUZIONE UN’ALTRA ANCORA MA IN MEZZO CI SONO GLI ANIMALI CHE VANNO TUTELATI E RISPETTATI SEMPRE A COMINCIARE DALLA LORO CODA CHE NON VA PIU’ TAGLIATA.
di Francesco De Augustinis per Il Corriere della Sera
Cosa significa «benessere animale»? Questa definizione può essere applicata alla produzione di carne e derivati animali senza perdere di significato? Anche se parliamo di produzione di massa in allevamenti intensivi? Queste sono domande etiche, ma anche questioni su cui in questi giorni allevatori, scienziati e… supermercati in Italia stanno proponendo delle risposte da dare ai consumatori, in particolare per quanto riguarda la produzione di suini.
BENESSERE E ALLEVAMENTI INTENSIVI
«Noi studiamo il benessere animale per gli allevamenti intensivi. Questa è la conditio sine qua non per garantire proteine animali a tutta la popolazione». Sgombera subito il campo da equivoci sulla sua interpretazione del significato di «benessere» Luigi Bertocchi, dirigente veterinario dell’Istituto zooprofilattico della Lombardia ed Emilia Romagna. Con sede a Brescia, l’istituto è uno dei principali in Italia.
Qui Bertocchi è il responsabile del Centro di referenza nazionale per il benessere animale (Crenba), che per conto del Ministero della Salute sta definendo delle nuove linee guida per il benessere dei suini negli allevamenti italiani.
L’ETICA DEI CONSUMATORI
Il benessere degli animali da produzione è diventato un argomento con cui gli allevatori in Italia hanno iniziato a confrontarsi per far fronte alle richieste del mercato. Nel 2016 un sondaggio Eurobarometro sosteneva che il 94 per cento dei cittadini (sia in Europa che in Italia) riteneva «importante» il benessere degli animali negli allevamenti.
Un dato che si è tradotto nell’esigenza di alcune catene della Gdo di poter scrivere «allevato nel rispetto del benessere animale» sui propri prodotti. Richiesta inoltrata agli allevamenti, che adesso -insieme alle istituzioni- ipotizzano risposte che giustifichino un’etichetta del genere.
Un progetto sul «benessere per i suini» era stato annunciato già lo scorso ottobre da Silvio Borrello, capo dei servizi veterinari italiani per il Ministero della Salute. Un “cantiere aperto” affidato proprio ai veterinari del Crenba di Brescia.
LA DOMANDA DI CARNE
Fino ad allora il Crenba aveva pubblicato delle linee guida solo per il benessere dei bovini, prese come punto di riferimento dagli allevatori e dai gruppi della Gdo (grande distribuzione organizzata) per certificare carni e formaggi.
Anche in quel caso parliamo di produzione intensiva, dove il «benessere» ammette l’allevamento «a pascolo zero», con le vacche da latte confinate in stalla per tutta la vita: «Non stiamo parlando di mucche al pascolo: finché la gente mangerà carne dovremo produrla così», chiarisce ancora Bertocchi. «Consideri che la domanda di carne è destinata a raddoppiare nei prossimi 30 anni», afferma il dirigente, che parla della necessità di «educare il consumatore» ad una corretta interpretazione del termine «benessere».
Un’interpretazione che adesso è molto diversa a seconda di chi sia a darla: la grande distribuzione, gli allevatori o le persone per strada.
LE NORME UE E L’ITALIA
Il lavoro del Ministero sulla certificazione del benessere dei suini ha avuto una brusca accelerazione a metà novembre, quando una visita di ispettori per conto della Commissione europea ha bacchettato severamente l’Italia per il mancato rispetto delle attuali norme europee sul benessere.
«Le autorità italiane non hanno intrapreso azioni efficaci per applicare gli obblighi della Direttiva contro la morsicatura delle code e per evitarne il taglio routinario», si legge nell’introduzione al rapporto stilato dagli esperti UE. «I produttori di suini (italiani, ndr) sono convinti che i loro allevamenti siano in regola con la normativa, e che non sia possibile allevare suini con la coda nel sistema di allevamento italiano. Convinzioni che rappresentano un serio handicap per le autorità per cambiare lo status quo».
IL TAGLIO DELLA CODA
La questione del taglio della coda è considerata centrale da chi si occupa di «benessere» negli allevamenti intensivi, in quanto la coda è un «indicatore» del livello di stress degli animali: dove le condizioni di vita sono peggiori, maggiori sono gli episodi di «morsicatura della coda» tra i capi.
Il taglio preventivo della coda avviene proprio per evitare queste forme di «cannibalismo da stress», che potrebbero comportare effetti collaterali e infezioni. Sebbene sia una pratica vietata in Europa dal 2008 (se non in casi eccezionali), in Italia in sostanza la totalità degli allevamenti pratica il taglio della coda preventivo su tutti i capi.
LA BATTAGLIA DI CIWF ITALIA
Smettere il taglio sistematico della coda ad oggi è anche la principale richiesta di Compassion in world farming (Ciwf), l’ong che si occupa in Italia di benessere degli animali di allevamento. «La normativa è ampiamente disattesa», afferma Elisa Bianco di Ciwf. «Riuscire ad allevare animali con la coda lunga è il principale indicatore che permette di dire che quell’ambiente è più o meno adatto alle esigenze del suino».
Tra le richieste di Ciwf negli allevamenti intensivi, l’abbandono delle gabbie di gestazione per le scrofe e l’adozione di ulteriori «arricchimenti» ambientali per tutti i capi, in particolare con l’utilizzo di un suolo di paglia.
L’IMPEGNO EUROPEO
In Europa nei giorni scorsi è stata annunciata la costituzione di un Centro europeo per il benessere animale. Si tratta di un centro di riferimento per il «benessere» negli allevamenti intensivi, che avrà sede in Olanda raccogliendo i ricercatori dei centri di referenza di Olanda, Germania e Danimarca, tutti e tre Paesi tra i principali produttori suinicoli del continente.