L’ORIGINE DEL TORCINELLO È POVERA MA CON IL TEMPO QUESTO PRODOTTO TIPICO DELLA CUCINA POPOLARE PUGLIESE SI È PRESO MOLTE RIVINCITE: MERITO DELLA SUA BONTÀ
Quanti nomi per chiamare questo involtino d’interiora d’agnello! Si può dire che in Puglia quasi ogni paese ne ha uno. Turcinieddhri a Lecce, Maretti a Ostuni, Nghumeridde a Bari, Marcidd a Minervino Murge e Turcenelle a Foggia. Ma questa è solo una breve selezione di un elenco molto più vasto che racchiude tante sfumature di gusto e forme.
Probabilmente se dovessimo tracciare una linea di congiunzione fra tutti questi nomi, città e paesi ci ritroveremmo a percorrere gli antichi tratturi lungo i quali un tempo i pastori guidavano gli armenti durante la transumanza.
Perché una cosa è certa: l’origine di questa prelibatezza viene dal mondo della pastorizia. Ogni località ha però la sua storia da raccontare. E siccome il torcinello è foggiano, la sua narra un incontro molto particolare.
Quello fra una comunità agricola ma nomade e i pastori abruzzesi, che portavano le greggi al pascolo nelle pianure della Daunia (Provincia di Foggia)
ALLE ORIGINI DEL TORCINELLO : I TERRAZZANI
I Terrazzani erano contadini con attitudini zingaresche. Gente allegra laboriosa e sobria ma che mal si adattava ad avere padroni. Non se ne conoscono le origini con esattezza. Secondo alcune fonti erano arabi cacciati dalla Sicilia e giunti in Puglia nel XIII secolo.
Giunti a Lucera, dopo essere stati costretti ad abiurare la fede nell’Islam, si trasferirono nella vicina Foggia. Il vagabondaggio li indusse a guadagnarsi da vivere vendendo quello che trovavano nei campi. Una condizione misera a cui si adattarono senza nutrire risentimenti verso il prossimo.
Certo il pungolo della fame a volte li spingeva a commettere furti, ma anche ad adattarsi in cucina.
ALLE ORIGINI DEL TORCINELLO : LA CUCINA DEI TERRAZZINI
La cucina dei Terrazzani era lo specchio del loro stile di vita. Ne è un esempio il pancotto all’olio con la cicoria di mezzana e il diavoletto rosso. Un piatto che sembra venire direttamente dai campi dove si potevano trovare anche allodole e lumache, tartarughe e rane, anguille o bisce del Candelaro.
I Terazzani sapevano inoltre fare la pasta e il pane e spesso usavano scarti e interiora di animali come le zampe di volpe, la lingua di cavallo, la testa di pecora e gli intestini di maiale.
Con gli intestini di galline, lepri, capretti e conigli facevano invece i torcinelli. Ma per giungere alla forma attuale, quella fatta con budella e interiora di agnello, fu fondamentale l’incontro con i pastori abruzzessi.
ALLE ORIGINI DEL TORCINELLO : I PASTORI ABRUZZESI
Per secoli la pastorizia è stata una delle attività economiche più importanti della Capitanata (Provincia di Foggia). Perché i pastori erano tenuti a pagare un pedaggio per l’attraversamento dei tratturi già costruiti in epoca romana.
In particolare, gli abruzzesi con l’approssimarsi della stagione fredda partivano dall’Aquila per condurre gli armenti fino ai pascoli della Daunia, nei pressi di Candela e Foggia.
Qui incontravano i Terrazzani. È probabile che li conoscessero mentre erano intenti a fare orti abusivi o alla ricerca di cibo per sostentare le famiglie. O solo perché passavano vicino alle loro case. Piccole abitazioni a pianterreno con un solo vano destinate più all’uso temporaneo che agli agi.
Abitazioni che si affacciavano lungo le vie dei tratturi e che avevano dunque un rapporto aggregativo con la strada. Capanni di fortuna che a nord di Foggia hanno poi dato vita ad angoli cittadini come Borgo Croci o Piazzetta dell’Olmo.
Ma quel che più conta è che questo incontro − tra terrazzani e pastori abruzzesi − ha finito per contaminare le abitudini sociali e soprattutto la cucina della Capitanata.
UN AROMA TRA RICORDI E POESIA
Uno dei frutti di questa contaminazione è dunque il torcinello e la sua versione più grande, il cazzomarro. Mia madre ricorda che negli anni Cinquanta a Manfredonia (Foggia) donne anziane vendevano i torcinelli per strada in ceste di vimini.
Mentre il poeta Raffaele Lepore in un suo componimento rievoca i ricordi d’infanzia a Foggia. Rammenta la nuvola di fumo che si alzava dal braciere, probabilmente vicino all’uscio di un pianterreno in via Polare, e il bel profumo che afferrava alla gola i passanti.
Aromi e sapori che sono diventati parte integrante dell’identità di un popolo. Tanto che un foggiano illustre come Renzo Arbore racconta che spesso tornava a casa per mangiare torcinelli e cazzomarri.
Prelibatezze divenute col tempo un piatto da principe più che da pastori. E che mantengono ancora, grazie a saghe paesane e appuntamenti Street food, un legame molto stretto con la gente di capitanata.
di Pippo De Lellis 18/08/2023