IL CAPOCOLLO DI MARTINA FRANCA HA UNA CARNE TENACE E SUCCOSA ARRICCHITA DA INCONFONDIBILI NOTE DI VIN COTTO E FUMO UN MASTRO NORCINO DI LUNGO CORSO CI RACCONTA LA SUA STORIA E COME SI PRODUCE
Il capocollo di Martina Franca (TA) è uno degli insaccati più buoni che si producono in Puglia. Un’autentica leccornìa che deve la sua prelibatezza a due ingredienti principali: il clima fresco delle colline e il pregiato legno di fragno indispensabile per l’affumicatura.
Ma non meno importante è l’antica arte norcina del luogo. Un’arte rinomata di cui il capocollo è senza dubbio l’esponente più illustre. Tanto è vero che già a partire dal Settecento era conosciuto e apprezzato in tutto il Regno di Napoli.
Eppure, nonostante la fama goduta, ironia della sorte, questa specialità è rimasta confinata per secoli in una dimensione casereccia. Fatto che ha ritardato di molto la sua commercializzazione. Fino a quando nel Duemila a Martina Franca non è arrivato Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food. “Petrini – ricorda Giuseppe Cervellera, 56 anni, titolare dell’omonima salumeria – fu talmente entusiasta del nostro insaccato che promise di farlo diventare famoso. E così è stato”.
IL CAPOCOLLO DI MARTINA FRANCA : I VITICOLTORI NORCINI
Oggi infatti il capocollo di Martina Franca si trova un po’ ovunque: nei numerosi ristoranti e supermercati della Penisola. Ma anche all’estero: Malta, Londra, Francoforte (e presto anche in Giappone, ndr). E allora perché, se è così apprezzato, questo salume ci ha messo tanto tempo prima di uscire dalla provincia di Taranto?
“Perché quella di Martina Franca – spiega Giuseppe – non è una storia di salumieri ma di viticoltori. Qui da noi infatti fino al 1980 si produceva solo vino. I produttori però possedevano anche maiali che macellavano a Natale, ma solo per soddisfare il loro fabbisogno personale”.
IL CAPOCOLLO DI MARTINA FRANCA : LA CORTE DEI FRAGNI
Giuseppe dunque è uno dei custodi di questa antica arte norcina. Che nella sua famiglia è cominciata quattro generazioni fa, col bisnonno che si chiamava proprio come lui, e che ora coinvolge anche i suoi figli, Gianluca e Andrea, rispettivamente di 27 e 23 anni, che lo aiutano a gestire l’azienda.
Anche se in realtà i capicolli cominciano a prendere forma fuori dal salumificio. In un’area boschiva chiamata corte dei fragni, dove il suo allevamento, 350 suini, scorrazza libero alla ricerca di cibo. “Mangiano grosse ghiande di fragno e tartufi” spiega il nostro norcino. E quindi i maiali non ci mettono molto ad ingrassare. A raggiungere quei 180 chili richiesti dal disciplinare di produzione per poterli macellare.
IL CAPOCOLLO DI MARTINA FRANCA : L’AFFUMICATURA E I TRULLI
E dopo la macellazione la manodopera in salumeria inizia a plasmare il capocollo. “Un muscolo che va dal collo alla settima vertebra” e le cui fasi di lavorazione molto sinteticamente sono: salatura, marinatura nel vin cotto (di Martina Franca) e asciugatura.
Fasi che in teoria si potrebbero fare anche altrove, ma le successive, ovvero l’affumicatura e la stagionatura no, si possono realizzare solo in Puglia. Perché solo qui cresce il fragno, la quercia con la cui legna si affumica il capocollo.
E solo nella Valle d’Itria, si ergono i trulli che, avendo mura spesse anche un metro e mezzo, non consento sbalzi di temperatura e sono quindi ottimi ambienti per la stagionatura degli insaccati.
IL CAPOCOLLO DI MARTINA FRANCA : DOVE ASSAGGIARLO
Poi, dopo una maturazione di 180 giorni, il capocollo è finalmente pronto per essere servito. Dove? Giuseppe vi invita al suo locale, la braceria Rosso di Sera, che propone questa meraviglia norcina in tanti modi: sul tagliere, a fette con altri salumi e formaggi, al forno o nelle tipiche bombette pugliesi.
E se l’assaggio proprio vi conquista potete abbandonarvi a una piccola follia: acquistare un bel pezzo di capocollo da 4 chili e mezzo al costo di 28 € al chilo (la variante più pregiata). Oppure ripiegare sul più economico “boccaccio” con dadini sottolio, ottimi per preparare squisite matriciane.
Di Fiorella Palmieri 23/12/2020