LA CARNE DI FASSONA È UN’ECCELLENZA DEL MADE IN ITALY È VERO MA PER LE PRAPARAZIONI CRUDE COME TARTARE E CARPACCI NON CERTO PER LA COTTURA ALLA BRACE
Articolo di Marco Agostini da Grillexperience.it
“C’era una volta”. Le storie belle o brutte di solito iniziano sempre così. Non so dirti se questa storia appartenga alla prima o alla seconda categoria, ma parlare del ruolo della carne di fassona nella nostra cucina (e in griglia in particolare), significa tornare indietro fino agli anni ’60 circa, che in riferimento a questo aspetto (e a molti altri) hanno rappresentato uno spartiacque.
Cos’è successo? Che l’Italia, un paese fino a quel momento ancora povero e contadino, inizia a svilupparsi economicamente, passando da un regime di mera sussistenza ad un moderato benessere popolare. La carne che prima era un lusso riservato alle grandi occasioni, ora è a disposizione di tutti e tutti i giorni. Abbiamo già parlato di come tra le altre cose, questa impennata della domanda abbia fatto sparire la pratica della frollatura, prima che venisse riscoperta e rivalutata praticamente solo ai giorni nostri.
Diciamocelo apertamente: un popolo con un tasso di scolarizzazione tra i più bassi d’Europa, da un giorno all’altro si è trovato ad avere disponibilità economiche impensabili fino a quel momento, creando una maggior domanda che il mercato ha tentato di soddisfare, sviluppandosi di conseguenza (i primi supermercati in Italia sono di quegli anni, per dire…).
Come? Dandogli quello che il pubblico chiedeva. E cosa chiedeva? Ovviamente quello che non aveva potuto avere fino ad allora, valutandolo con la conoscenze che aveva in quel momento.
In quel momento la carne era quella della razza locale, non c’erano molte storie. Ognuno aveva la sua: il Vitellone Bianco nel centro Italia, la Podolica al Sud… Ma è chiaro che nel Nord Italia, quantomeno nel Nord Ovest, il Fassone Piemontese godesse di di grande fama: la carne dei grandi bolliti della tradizione, dei nobili carapaci e della tartare. tutti piatti da Signori che improvvisamente diventavano accessibili a chiunque.
Ma quindi, che c’è di male in tutto questo? Assolutamente nulla ma questo retaggio culturale ed il conseguente adeguamento dell’offerta, ha finito per condizionare pesantemente la nostra obiettività di giudizio ancora oggi, nonostante l’incredibile varietà di razze bovine da griglia e la trasparenza informativa che ci mette a disposizione il mercato, Ma andiamo per fasi e cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando.

COS’È DAVVERO LA CARNE DI FASSONA
Il termine “Fassone”, dal francese “Façon“, “ben fatto, ben formato”, indica in realtà non una razza specifica ma un fenomeno di ipertrofia, causato dalla presenza di una mutazione genetica nella miostatina, che nei mammiferi regola la crescita muscolare.
Hai presente quei bovini “culturisti” che sembra abbiano appena fatto un concorso per mister Olympia? Quello è un “Fassone”, caratteristica, che però non è strettamente associata solo alla razza Piemontese (un altro rappresentante celebre è il Belgian Blue ad esempio).
Il primo caso registrato di questa mutazione però è stato nel 1886 a Guarene d’Alba su una Piemontese e questa razza in genere sembra esserne maggiormente predisposta. Mutazione che comporta una resa più alta in macellazione e che quindi storicamente non è stata certamente ostacolata, anzi… Tanto da diventarne un tratto distintivo, non solo accettato ma addirittura promosso come tale. In modo cosi spinto, che oggi “Razza Piemontese” e “Fassone” sono diventati praticamente quasi sinonimi.
Ma torniamo a noi: come detto, l’Italia è tradizionalmente un paese agricolo e la stragrande maggioranza delle razze autoctone, sono animali da lavoro, geneticamente ricche di collagene, quindi tendenti a diventare tenaci in cottura, senza per altro neppure più l’aiuto di una sana frollatura, ormai indirizzata verso la prossima estinzione.
Le soluzioni della distribuzione sono quelle che vediamo ancora oggi sotto gli occhi di tutti: comunicare e spingere la “fettina” tagliata sottile più che la bistecca in modo che possa risultare più facilmente “masticabile” e scegliere la carne di femmina (meglio ancora se di scottona – la vacca giovane che non ha ancora partorito -, giusto per citare un altro termine ipersfruttato a partire da questo periodo) al posto del più tenace maschio, da cui deriva la declinazione “carne di Fassona”, intesa come di femmina di Fassone, quindi più tenera.

MA PERCHÉ IL FASSONE NON È ADATTO ALLA GRIGLIA?
Il motivo emerge chiaramente dal proseguo della nostra ricostruzione. Il Fassone è l’animale da lavoro per eccellenza in Piemonte con tre caratteristiche fortemente distintive rispetto ad altre razze: ha delle fibre piuttosto fini, ha un sapore molto delicato, elegante, raffinato ed è estremamente magro.
Considera che su alcuni tagli la fassona riesce ad avere percentuali di grasso inferiori al 2%, dove la percentuale di grasso media di un atleta professionista tirato a lucido si attesta intorno al 4%…
Coerentemente con questo, la sua fama gastronomica è stata costruita su due tipi di preparazioni: il consumo a crudo in piatti tradizionali come la tartare o il carpaccio grazie alla finezza delle fibre, oppure gli stracotti, come bolliti o brasati, dove il collagene poteva essere completamente denaturato in tenera gelatina.
Per questi scopi le sue caratteristiche, ed in particolare la magrezza, erano perfette. Ti immagini che “libidine” dei filamenti di grasso e un gusto fortemente beefy su una tartare o un abbondanza di grasso flaccido sulla carne del bollito?
Cosa c’è di male? Ancora una volta, nulla. Ma nella cultura popolare quale pensi possa essere la carne “buona”? La carne di Fassona. E qual è la Fassona buona (e di conseguenza la carne buona)? quella magra-magra-magra, che più magra non si può.
Meglio se ancora rossa-rossa-rossa perchè la carne scura (leggi “frollata”) era quella che una volta rimaneva al macellaio dopo che i signori avevano preso i tagli nobili, quelli con minor collagene e più teneri, rimanenze che venivano acquistate dal popolino un pezzo alla volta, quando le tasche lo permettevano. Quindi quella rossa era “fresca”, mentre quella scura era “vecchia”, uno scarto destinato ai poveracci. Il problema è che tutto questo si sposa molto, molto male con la griglia.
Si dice che la regina della griglia sia la carne di maiale e c’è un motivo: la presenza di grasso conduce calore e migliora quindi la reazione di maillard, favorendo la formazione della celebre “crosticina” che è uno degli elementi maggiormente identificativi della cucina barbecue.
Hai presente quelle tagliate di fassona grigie e tristi che hanno come unico elemento del passaggio in griglia le righe di cauterizzazione? Confrontale con una bella bistecca brunita color mogano, ricca ed invitante, portata in tavola che ancora “frigola”, tipica di carni più marezzate.
Il grasso poi nella giusta misura, insaporisce la carne, un po’ come la lardellatura negli arrosti, la “umetta” mantenendola più succosa e tenera. Se poi il collagene è presente ma non esagerato, si riesce ad ottenere eccellenti risultati di tenerezza anche sui tagli poveri, quando ben gestiti.

UN’ECCELLENZA DEL MADE IN ITALY MA NON DELLA BRACE
Tutte connotazioni che come hai capito, appartengono poco alla carne di fassone. In Italia tendiamo sempre molto a celebrare i nostri prodotti come il meglio, del meglio, del meglio e in molti casi come l’unica vera necessaria attestazione di qualità. In alcuni casi è vero come per l’Olio di Oliva. In altri onestamente no: dire “solo da latte italiano” se l’alternativa è latte tedesco o austriaco, non è assolutamente un valore aggiunto significativo.
Secondo la stessa logica, la carne di Fassona diventa il non plus ultra su tutto, qualsiasi cosa. È semplicemente “più buona” indipendentemente dal “per fare cosa”: carpacci, tartare, bolliti, arrosti e… bistecche. Tanto che molte steakhouse nostrane pubblicizzano con orgoglio che da loro si serve “solo carne di fassona piemontese”, non capendo che se parliamo di griglia, paradossalmente si stanno dequalificando da soli, rispetto a razze decisamente più inclini a sviluppare caratteristiche più idonee, una su tutte l’Angus, ma anche rimanendo nei confini nazionali e su limiti accettabili, la Romagnola.
In definitiva dire “carne di Fassona” fa tanto presa popolare, ma il suo risultato finale in griglia per pura “goduria gastronomica” è preferito dal pubblico? Assolutamente no, sfido chiunque a dimostrare il contrario e non lo dico io. Lo dice il mercato. Quindi, vista con un minimo di senso critico obbiettivo, il senso qual è?
La stessa famosa Tagliata di Fassona cos’è? Un taglio non ben precisato ma diverso da filetti e controfiletti, che viene grigliato e servito già tagliato, appunto. Evitandoti quindi di doverlo fare tu che è meglio… Oppure lo stesso taglio servito confezionato crudo e confezionato dalla distribuzione pronto alla cottura, ma sulla cui superficie sono state già fatte delle incisioni ad intervalli regolari, in modo ancora una volta, che ti possa risultare non eccessivamente ostico da fare in autonomia una volta tolta dalla griglia.
Adesso spero tu abbia capito perché la carne di fassona è fantastica per mille utilizzi ma non per la cottura in griglia e perché la tagliata di fassona è l’ultima scelta che dovresti fare per una tua selezione della materia prima più consapevole, senza inutili retaggi culturali fuorvianti ma soprattutto che ti possa portare ad un risultato finale di vera e piena soddisfazione.
Buon barbecue e buona bistecca!
28/02/2025