TRE SPECIALITÀ DELLA SARDEGNA SIMILI TRA LORO MA NON IDENTICHE: ECCO LE DIFFERENZE TRA QUESTE PROTAGONISTE DEL BARBECUE DAL SAPORE SARDO
Su schidoni: lo spiedo, strumento diventato croce e delizia dei più grandi estimatori della cottura alla griglia presenti sull’isola. Come il pennello per Giotto o lo scalpello per Michelangelo. Una premessa necessaria per poter comprendere a fondo questo “delicato” argomento. Si, perché siamo davanti a tre capolavori della brace, tra antiche tradizioni e l’arte del saper fare: sa cordula sarda, trattalia e rivea. Impossibile non farsi conquistare dal loro intenso, ma autentico sapore.
SPECIALITÀ SARDE : LA CORDULA SARDA, TRECCIA DELLE MERAVIGLIE
A spiccare per notorietà è sa cordula. Ma se è vero che il successo spesso si paga, la sua bontà non è destinata a tramontare. Chiamata anche treccia, questa specialità è composta da interiora d’agnello e deve il suo nome proprio alla caratteristica forma intrecciata. Un richiamo irresistibile per i palati forti: intestino tenue e crasso, pancia e una rete di colore bianco chiamata sa nappa, sono gli unici ingredienti. Saranno le mani di un abile “tessitore” a trasformarli in un’autentica prelibatezza. Gesti semplici e precisi che raccontano una storia millenaria.
Gli intestini più grossi e la pancia, precedentemente puliti e tagliati a strisce di circa un centimetro di larghezza, diventano il cuore della cordula, ricoperta poi con sa nappa, che rende la superficie omogenea. A darle il famoso aspetto sono gli intestini più sottili che, “cuciti” secondo una tecnica ben definita, creano una intricata treccia pronta per essere cotta sulla brace o in pentola con i piselli.
SPECIALITÀ SARDE : LA TRATTALIA, LA CORATELLA SI FA BELLA
Degna concorrente per gusto e preparazione, sa trattalia, (detta anche trattabia, trattaliu, tattaliu e chi più ne ha, più ne metta), è un’ulteriore dimostrazione che dell’agnello in Sardegna – al pari del maiale – non si butta via niente. Questa volta ad essere protagonisti sono fegato, polmone, cuore e milza. Tutti da tagliare a pezzi e infilzare nello spiedo uno dopo l’altro, alternandoli. Il risultato è uno spiedino “versione gigante” lungo circa 50-60 centimetri, ricco e corposo.
Numerose le varianti di questo piatto: nella gran parte dei casi si aggiungono fettine di lardo di maiale e fette di pane prima e dopo ogni blocco di interiora, ma a stupire per abbondanza degli ingredienti sono alcuni paesini del centro-sud Sardegna. Qua sa trattalia include anche salumi non ancora del tutto essiccati come pancetta, salsiccia sarda e musteba, prodotto pregiato ottenuto dal lombo del maiale, speziato fuori e dolce dentro.
SPECIALITÀ SARDE : LA TRATTALIA, DUE TECNICHE E UN SOLO OBIETTIVO
Dopo aver infilzato ogni pezzetto con lo spiedo siamo a metà dell’opera e nessuno ha da obiettare. Per la cottura invece scendono sul campo di battaglia due veri e propri eserciti, spinti dal desiderio di preparare la trattalia perfetta. Ognuno a modo suo. Per i primi è già arrivato il momento di mettersi all’opera: la carne cuoce a fuoco lento, ma non del tutto.
Ancora al sangue viene levata dalla brace per ricoprirla con sa nappa e gli intestini più sottili precedentemente lavati, replicando la tecnica già utilizzata per la cordula. Ma qual è il momento giusto per interrompere la cottura? Il trucco è controllare il fegato: è l’ultimo che cuoce e lasciarlo rosato assicura il successo dell’impresa. Dopo il pit-stop, si prosegue fino a quando gli intestini non saranno dorati e croccanti.
Dall’altra parte della barricata, la trattalia viene completata prima di essere messa sul fuoco. Tempo stimato poco meno di due ore girandola spesso per una cottura e colorito uniforme. Stretta saldamente allo spiedo grazie al calore, sa trattalia resta compatta, pronta per essere tagliata a fettine un po’ grosse. Ancora calda e con un po’ di sale, vi aprirà le porte del paradiso.
LA RIVEA, IL GUSTO NON HA NOME NÉ ETÀ
L’unico modo per poter assaggiare la trattalia in Gallura, zona a nord-est della Sardegna, è chiamarla rivea. Ma – è bene sottolinearlo – ad un nome nuovo non corrispondono differenti modi di preparala o di arrostirla. Tuttavia, oltre alla versione classica con la coratella d’agnellino, in questa zona ad essere ancora più pregiata è quella di capretto.
Animali giovani e dalla carne tenera che tradizionalmente venivano consumati dal mese di dicembre fino alla primavera inoltrata e portati a tavola in occasione delle feste assieme alla carne arrosto cotta allo spiedo. Attualmente questi antichi piatti della tradizione pastorale sarda sono protetti dal marchio PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), l’elenco che raccoglie i prodotti più distintivi di un territorio, ottenuti con metodi di lavorazione e conservazione consolidate da almeno 25 anni.
di Ilaria Pani – 29 novembre 2017