CHEF’S TABLE LA FAMOSA SERIE TELEVISA DI NETFLIX RACCONTA LA STORIA DI DARIO CECCHINI LO FA CON GRANDE UMANITA’ LODANDO I SUOI PREGI MA LASCIANDO EMERGERE ANCHE QUALCHE DIFETTO
Sono passati ormai due anni da quando è andata in onda su Netflix la vita di Dario Cecchini, il macellaio di Panzano in Chianti (Firenze) diventato famoso per aver celebrato il funerale della Fiorentina. Ho quindi assistito alla sua epopea con un innegabile ritardo e me ne scuso, allora però non ero abbonato alla piattaforma americana e ancora non andavo in cerca di serie televisive sul barbecue. Ma non ho problemi ad immaginare come i profani della ciccia abbiano accolto la novità al tempo. Molti, probabilmente, avranno storto il naso nel vedere il faccione di questo toscano dal temperamento istrionico e sornione.
“Ma come – si saran detti – una serie televisiva come Chef’s Table, nata per raccontare vita e carriera dei cuochi più blasonati al mondo, accende invece i riflettori su un semplice macellaio?”. In realtà non è affatto strano. Anche perché Dario non è un macellaio qualunque e se in qualche modo vogliamo definirlo semplice possiamo farlo solo in rapporto alla sua cucina, che poi è la cucina della tradizione toscana, una cucina senza fronzoli ma straordinaria grazie a ingredienti di eccelsa qualità.
Ecco perché a distanza di due anni dalla sua apparizione su Netflix ha senso continuare a parlare di Dario Cecchini. Perché tramite i suoi piatti ci ha insegnato a mangiar bene, un concetto che tra le tante cose significa, anche e soprattutto, avere rispetto per gli animali sacrificati al nostro appetito. E questo è l’insegnamento senza tempo di un macellaio che ama mettere in pentola l’amore per la sua famiglia.
COME NASCE SOLOCICCIA
Se oggi è il coronavirus a far paura agli inizi degli anni Duemila era la mucca pazza a preoccupare le autorità sanitarie tanto da spingerle ad adottare una misura a dir poco draconiana: vietare la vendita della bistecca con l’osso. A quel punto intervenne Dario, che in diretta prima celebrò il funerale della Fiorentina e poi mise in vendita gli ultimi pezzi ancora rimasti. Fu una semplice provocazione, ma ebbe il suo peso nel far tornare la bistecca con l’osso sulle nostre griglie e diciamolo solo per questo Dario avrebbe meritato una nomina a senatore a vita.
Ma non poteva. Aveva altro a cui pensare. Aveva in progetto di aprire un ristorante che paradossalmente andasse oltre la bistecca, con osso o senza osso che fosse. La gente in macelleria gli chiedeva solo i tagli nobili, “ma non ha senso – diceva tra sé e sé il macellaio toscano – uccidere un animale per ricavarne solamente costate e fiorentine”. Per spiegare questo assurdo Dario capì che doveva fare assaggiare ai suoi clienti la cucina della nonna e fu così che nacque Solociccia, un ristorante dove guai a chi mangia solo bistecche. E’ vietato. C’è dell’altro. Ci sono anche zoccoli, lingua e coda.
DARIO CECCHINI, UN ISTRIONICO FANCIULLINO
A qualcuno non piace che Dario in sala esibisca una personalità eccentrica recitando a mena dito battute sulla carne. Personalmente non sono d’accordo. Oltre alla goliardica “evviva la ciccia e chi la stropiccia” ci sono anche citazioni poetiche d’ispirazione Shakespeariana da mettere sul piatto. E quando si parla di poesia non si può non scandagliare la profondità dell’anima.
“To beef or not to beef that is the question”, ad esempio, esprime un dubbio amletico che per tanto tempo ha tormentato la coscienza di Dario, il quale, pur rappresentando la sesta generazione dell’Antica Macelleria Cecchini, non si sentiva portato per questo lavoro. La morte dei genitori cancellò di colpo il sogno di diventare veterinario e proprio a lui, che tanto aveva desiderato salvare il manzo (beef), spettò invece l’ingrato compito di venderne le carni. A lui Spettò tanto per parafrasare Dante “la dannosa colpa della gola”.
Dario quindi con queste uscite divertenti (a volte un po’ esagerate è vero) esorcizza la sofferenza di un tempo e torna ad essere il bambino che fu. Un bambino felice, smanioso di infondere gioia ai commensali, seduti attorno a un tavolo proprio come faceva la sua famiglia.
DARIO CECCHINI, AUTENTICO MA NON SEMPRE
Con la dimensione poetica però affiora un altro enigma interiore da sciogliere che stavolta non si manifesta coi versi ma con le immagini. Mi spiego. Al fine di far emergere il suo amore per gli animali il documentario mostra scenari bucolici di una Panzano in Chianti bellissima e bovini in salute che pascolano placidi per i campi baciati dal sole. Altro che allevamento intensivo e mucca pazza!
Sappiamo però che la carne di Dario viene dalla Spagna dove conosce allevatori di cui si fida a occhi chiusi. Ma mi chiedo, è mai possibile con tutto l’amore che nutre per la sua terra che non gli sia riuscito di trovare allevamenti degni di nota anche in Toscana? Questo fa pensare a una ricostruzione un po’ artificiosa che stride col romanticismo della sua storia e getta qualche dubbio anche sull’accento pulito che sciorina quasi fosse un attore consumato.
Dubbi, bene inteso, più sull’abbrivio “poetico” che non sulla qualità della dizione che, a parte l’influenza toscana, devo dire è davvero lodevole. Complimenti.
I COMMENSALI FANNO SCENA MUTA
Abbiamo dunque capito che Dario è un gran affabulatore ma non è certo con le chiacchiere e nemmeno coi versi che si cuociono le bistecche. Lo si fa col fuoco. Nel suo sito afferma che l’officina della bistecca (un altro dei suoi ristoranti) “è la nostra maniera di affrontare in convivio la terribile questione della perfetta cottura di sua maestà la bistecca alla Fiorentina”.
Ora però nel video i commensali non esprimono pareri, non apprezzano, non criticano, non si confrontano. Sembrano “beoni” a pancia piena. A parlare per loro ci sono solo due americane, esperte in gastronomia, una delle quali a un certo punto afferma che con la sua carne Dario fa sentire la quinta essenza del manzo, a partire da ogni zolla d’erba che mangia. Peccato però che quell’erba viene dalla Catalogna, non dalla Toscana e comunque di griglia non se ne parla affatto.
Ravviso un po’ di ricamo anche quando Dario ammette la sua incompetenza non appena rilevata l’attività. Probabilmente non era bravo come oggi e aveva tutt’altre aspettative, ma che fosse proprio a digiuno del mestiere è difficile crederlo, visto che lui stesso afferma di aver iniziato a lavorare a 13 anni. Ad ogni modo, nonostante alcune incongruenze, comunque funzionali alla narrazione, a me personalmente la storia è piaciuta, mette a nudo il personaggio Dario Cecchini con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Ma questi chi non li ha, se poi piacciono meglio ancora.
di Gianluca Bianchini 26/01/2021