GLI ANACARDI UNO DEGLI ALIMENTI BASE DELLA DIETA VEGANA SONO UN FRUTTO SECCO SALUTARE E MOLTO NUTRIENTE MA CON UN GRANDE DIFETTO: VENGONO PRODOTTI CALPESTANDO I PIÙ ELEMENTARI DIRITTI UMANI
L’anacardio è un albero tropicale originario del Brasile che ha messo radici anche in India, Africa e Vietnam. I suoi frutti, gli anacardi, colorati con tonalità sgargianti di giallo e rosso cremisi, presentano una forma davvero insolita. Ricordano, infatti, una mela con sotto un nocciolo simile a una mezza luna. E proprio all’interno di questo nocciolo è contenuto il vero frutto: un seme oleoso e commestibile che negli ultimi anni ha finito per colmare gli scaffali dei nostri supermercati.
Un successo comprensibile, per carità, anche meritato, nessuno lo mette in dubbio, visto che si tratta di un alimento con tante qualità importanti: è nutriente, fa bene alla salute ed è pure un antidepressivo.
Ma forse proprio su questo punto non tutti sono d’accordo. Perché la produzione degli anacardi in Asia racconta una storia tutt’altro che lieta. Anzi, racconta una storia triste, a dir poco disumana, fatta di abusi e torture e con riverberi pesanti anche sull’economia africana. Approfondiamo dunque questo argomento.
GLI ANACARDI – I FALSI CENTRI DI RECUPERO PER TOSSICODIPENDENTI
La nostra indagine sulla violazione dei diritti umani, legata alla produzione di anacardi, inizia con il Vietnam che ne è il maggiore esportatore mondiale. Qui gli anacardi assumono l’aspetto di un dio buono e allo stesso tempo malvagio. Buono perché contribuisce alla prosperità del Paese.
Malvagio perché, per produrli, una parte della popolazione, quella affetta da tossicodipendenza, viene praticamente ridotta in un stato di schiavitù. Infatti, con la scusa di accoglierli in centri di recupero, questi sfortunati sono in realtà costretti a sbucciare anacardi. E spesso a far loro compagnia ci sono anche dissidenti politici e perfino bambini.
Inoltre, le loro paghe, se così possono definirsi, sono talmente grame che, una volta rilasciati, hanno ancora da pagare le spese relative al vitto e all’alloggio. Ma il paradosso è che si tratta di vere e proprie prigioni, dove la protesta è impensabile se non si vogliono ricevere manganellate o elettroshock.
GLI ANACARDI – IN VIETNAM NON C’È LIMITE AGLI ABUSI
Ma il menù della tortura in questi centri è ampio e le violenze vengono inflitte in tanti altri modi. Ad esempio, sottoponendo i detenuti a privazioni alimentari, a turni di lavoro massacranti o rinchiudendoli in camere punitive. Ovvero stanze sovraffollate da dove si può uscire al massimo per mezz’ora al giorno.
E l’incubo non finisce certo qui. Perché l’aspetto più macabro di tutta questa vicenda è che secondo la ong Human Rights Watch molti detenuti sono affetti dal virus dell’HIV. Per legge, quindi, dovrebbero essere rilasciati immediatamente. A maggior ragione se i centri non dispongono di strutture adeguate ad accoglierli. E se magari arrivano donazioni per fornire loro sollievo, ecco che i soldi alimentano invece lo sfruttamento. Un’ingiustizia che continuia anche all’esterno dato che sono previste detrazioni fiscali per quelle aziende che acquistano anacardi proprio dai falsi centri di recupero.
GLI ANACARDI – LE DONNE INDIANE
Passiamo ora al Paese che processa il 60% degli anacardi mondiali, l’India. In questo Paese il 90% della forza lavoro impiegata nella trasformazione degli anacardi è composta da donne. Operaie che, stando ferme tutto il giorno nella stessa posizione, finiscono col patire dolori alle giunture e alla schiena. E questo non è l’unico problema. Molte di loro, infatti, lavorando senza guanti si ustionano le mani a causa del liquido caustico che fuoriesce dal nocciolo.
Per quanto riguarda le paghe, invece, queste sono talmente misere che i loro figli soffrono di malnutrizione. E non vale la pena protestare o chiedere maggiori diritti, ad esempio bagni o servizi igienici, perché così si rischia solo il licenziamento.
GLI ANACARDI – L’AFRICA
Infine l’Africa, il maggiore produttore mondiale di anacardi. Perché quanto succede in Vietnam e India limita la sua crescita economica? Perché secondo un’agenzia del governo federale tedesco Giz (Gesellschaft für internationale Zusammenarbeit) il 90% dei lavori legati alla trasformazione di anacardi sono collocati al di fuori di questo continente.
Il che significa meno occupazione e anche meno reddito da investire in un settore che invece è strategico per l’economia africana. Perché, se migliorasse tutta la filiera, dalla produzione alla trasformazione fino alla vendita, si otterrebbero dei risultati fondamentali per le condizioni di vita dei suoi abitanti. Si ridurrebbero, infatti, oltre alla fame e alla povertà, anche le insidie derivanti dal cambiamento climatico.
Di Gianluca Bianchini 21/03/2018