UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLA CARNE A TRIESTE: TRA BRACE, BUFFET, OSMIZE PER RITROVARE LE INFLUENZE GASTRONOMICHE GLOBALI DELLA CITTÀ CHE HA INVENTATO LO STREET FOOD PRIMA DEGLI AMERICANI
Con la schiena appoggiata al velluto del Carso e davanti la tovaglia dell’Adriatico, Trieste è una tavola imbandita, fumante e pronta da gustare. Con gli occhi ma soprattutto col palato. Il poeta Umberto Saba, che ci è nato, scriveva che «Trieste ha una scontrosa grazia. Se piace, è come un ragazzaccio aspro e vorace». E chi ci arriva questa voracità la sente e se ne fa contagiare. Sarà l’aria di mare e il profumo di sottobosco, sarà il bruciare calorie frustati dalla Bora, il saliscendi tra anfratti in penombra, vecchie osterie, fantasmi e angiporti: Trieste, mette appetito! Nessun problema, perché qui – tra braci, osmize e buffet – la bocca non riposa mai. Nemmeno mentre si cammina. Lo street food ha messo l’ancora a Trieste ben prima che negli States.
LA CARNE A TRIESTE: TERRA DI BRACE E FRONTIERA
Resa grande dall’Impero Asburgico, da greci, ottomani, slavi ed ebrei, la capitale giuliana è città di cantieri, commerci ed assicurazioni. È linea di confine, luogo di frontiera. E come tale la sua cucina conserva una deliziosa “banca” di memorie, sapori e spezie per rappresentare tutti gli influssi che l’hanno generata. La tavola triestina accoglie, mescola, arrangia e rielabora tradizioni di popolo e di nobiltà. Maglia rosa nella pasticceria, ricca di gustosi piatti di mare, la sua gastronomia abbonda anche di carni, che si riallacciano a quella mitteleuropea. Tre sono le preparazioni alla brace più significative: le salsicce di cragno, il prosciutto cotto alla brace ed i cevapcici.
LA SALSICCIA DI CRAGNO
Risale ai tempi dell’Impero austroungarico e prende il nome dalla regione della Carniola, fin dal XV secolo principale regione del territorio nazionale sloveno. La salsiccia di Cragno (“Kranjska klobasa”) è una specialità di cui la cucina slovena va particolarmente fiera ma che è stata prestata all’Italia attraverso le frontiere di Trieste.
Soda, croccante e succosa, la salsiccia di Cragno viene preparata solo con carne e grasso suini della massima qualità, macinata grossa, speziata con aglio e pepe e legata con uno stecchino di legno. All’esterno è rossa-bruna e ha un leggero sentore di fumo, mentre al taglio la carne è rossastra, puntinata da un bel grasso bianco panna e compatto. L’aroma è pieno e caratteristico della carne suina salata, stagionata ed affumicata con trucioli di faggio. Di solito si prepara lessandola in acqua per una ventina di minuti ma è ottima anche da fare alla brace e da accompagnare a una caraffa di birra chiara. Attenzione a cuocerla lentamente poichè contiene poco grasso per la cottura a fuoco.
IL COTTO ALLA BRACE
Il prosciutto cotto di Trieste ha evidenti origini mitteleuropee ma come per i salumi stagionati nel resto d’Italia, a Trieste la fantasia e la tecnica dei norcini qui si sono riversati sui cotti, inventandone una decina di varietà, tra cui il prosciutto in crosta di pane, quello arrosto, la testina e la porcina (coppa bollita). La tradizione del prosciutto triestino risale all’arrostitura della coscia di maiale appesa alla cappa del focolare nelle cucine contadine. La coscia prende così il classico sapore arrostito, oltre ad un gradevole sentore di fumo. Il prosciutto alla brace è invece di origine belga, dove è chiamato “jambon grillé”. I cosciotti vengono messi in salamoia e poi lasciati a sgocciolare per 3, 4 giorni. Dopodiché vengono cotti alla brace.
Per scoprire come, bisogna rivolgersi a chi li fa. E bisogna anche sapere che il prosciutto triestino ha un nome: Masè. Presente sul mercato da più di cent’anni, è il marchio storico della gastronomia triestina. Propone dal 1870 specialità di salumeria che interpretano la storia e i sapori del territorio. Masè è arrivato anche sulle guide del Gambero Rosso, poiché «tanti punti vendita non hanno intaccato la qualità del prosciutto». Dall’azienda spiegano che «viene effettuata una prima lenta cottura a vapore, successivamente le cosce vengono fiammate a 200 gradi per conferire i particolari aromi caratteristici di questo prodotto, unico nel suo genere. Così il prosciutto alla brace guadagna il suo inconfondibile sapore semplice e raffinato».
I CEVAPCICI
I cevapcici sono un piatto a base di carne trita di manzo e agnello speziata, tipico della gastronomia balcanica ma che trova casa anche a Trieste. Queste buonissime polpettine sono di solito cotte sulla griglia ma danno il meglio se fatte sulla brace, e servite con cipolla cruda tritata, pane tostato e l’immancabile ajvar, una salsa a base di peperoni, o con rafano e senape. Secondo l’autore serbo Branislav Nušić, vennero serviti per la prima volta a Belgrado intorno al 1860, in una trattoria nei pressi del Grande Mercato. Il proprietario era un tale Živko, che ne vendette così tanti e si arricchì talmente da riuscire a costruirsi una chiesa. Alleluja al cevapo! Tradizionalmente si vendono come cibo di strada, serviti dentro speciali pagnotte dette somun. Ed è proprio di cibo di strada che tocca parlare se si vuole approfondire la conoscenza della Trieste da tavola. Perchè il fast-food i triestini se l’erano inventato molto prima degli americani!
LA CARNE A TRIESTE: IL FAST-FOOD PRIMA DEGLI AMERICANI
Quando Trieste era una “metropoli” asburgica, porto franco dell’Impero, la gente che veniva dal mare o che scendeva “a giornata” dalle montagne – non potendo portarsi merende e “schiscette” da ufficio – aveva bisogno di addentare qualcosa di rapido e nutriente. È così che Trieste ha iniziato a offrire una fitta rete di punti di ristoro dove marinai e scaricatori fanno il “rebechin“: uno spuntino di metà mattinata per resistere ai duri turni di lavoro. Ecco allora i vari buffet di origine napoleonica, dove salsicce, costine, bolliti di maiale occhieggiano da pentoloni e caldaiette. Si mangia nei piatti seduti ai piccoli tavolini o in piedi, infilando la carne in una semplice rosetta, approfittando di crauti, senape e cren, cioè radice di rafano fresco grattugiata al momento.
LA CARNE A TRIESTE: INFRATTARSI TRA LE OSMIZE
Se volete davvero conoscere l’anima di strada di Trieste, dovete però perdervi nell’altipiano carsico alla ricerca delle osmize. Sono chiamate così dal termine sloveno “osem” che significa otto: erano infatti questi i giorni anticamente concessi ai contadini del Carso per vendere in casa il sovrappiù della propria produzione. Le osmize si riconoscono già lungo la strada, dove vengono appese frasche di edera in modo da indicare – solitamente con una freccia rossa – la via durante il periodo di apertura. Non si tratta di osterie ma di cantine, pergolati e portici in cui i contadini aprono tavolacci di legno e panche, allestiscono taverne temporanee per mangiare salumi e formaggi o per brindare col vino della casa -spesso Malvasia, Terrano e Refosco. Sicuramente spartane, le osmize offrono però prodotti genuini. Se vi piace l’idea del km zero, qui stiamo parlando veramente di decine di metri: le uova delle galline che vedete razzolare davanti a voi sono le stesse che potrete gustare sode. Fra l’altro, si dice aiutino a smaltire i bicchieri di troppo.
LA CARNE A TRIESTE: LE OSMIZE DEL TERZO MILLENNIO
Oggi l’apertura delle frasche varia da Comune a Comune, secondo un preciso regolamento alla cui base sta il quantitativo prodotto in ettolitri. «Per tanta produzione, tanti giorni d’apertura», spiega da Longera Damjan Glavina, la cui frasca apre in maggio. Mentre Franc e Tomaz da Malchina affermano orgogliosi: «noi proponiamo ai nostri clienti solo prosciutti e salami caserecci ricavati dalla macellazione di una cinquantina di maiali che alleviamo personalmente ogni anno». Le osmize del terzo millennio, oltre ai tradizionali ramoscelli di edera, si possono trovare grazie all’aiuto di app, mappe (disponibili nelle edicole locali a prezzi simbolici) e siti, tra cui osmize.net e osmize.it.
Tra le più apprezzate quella di Benjamin Zidarich a Prepotto, nota per i vini. Sempre lì vicino anche Gabrovec, osmiza amatissima dal musicista Vinicio Capossela, che la frequenta nel suo girovagare triestino. E poi Boris, a Medeazza, coi suoi crostoni caldi al lardo, o Fabec, a Malchina, dove fanno un’ottima pancetta cotta col finocchietto. Per gli amanti dei formaggi da non perdere Starec, a Bagnoli, che li serve con gelato al lampone, e Pernarcich, a Visogliano. Una vista impagabile si gode poi dalle osmize affacciate sui terrazzamenti di Contovello: una su tutte Verginella, da Stubelj, sotto gli ulivi di San Pelagio.
Oppure da Ferluga, a Roiano, vicina al centro città, il cui balcone offre un panoramico scorcio sul Golfo di Trieste. Ma ce ne sono tante altre e ognuna ha la sua particolarità. La caccia è aperta, vale la pena spendere qualche ora a perdersi tra le frasche!
Di Silvia Strada 20/02/2016
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