UN MESTIERE LEGGENDARIO E UN’ANTICA TRADIZIONE, QUELLA DEI MANDRIANI A CAVALLO, CHE DA UN PASSATO MAI SEPOLTO ARRIVA FINO A NOI. GRAZIE A BUFFALO BILL, AD UNA RAZZA DI ENORMI VACCHE BIANCHE CHE NON DOVEVA SCOMPARIRE E ALLA LORO CUCINA.
Da una parte il mare, dall’altra il giallo bruciato della Maremma, cinquemila chilometri di terra brusca, dalle pendici del monte Amiata fino a Civitavecchia, alle porte della Capitale. Qui si è combattuto con le paludi, con le piene dei fiumi che falcidiavano il bestiame, con la boscaglia fitta e cupa – roba da istrici e lupi. Si lottava contro le invasioni di cavallette e, sopra tutto, contro la malaria, che ha dominato fino alle bonifiche.
LA CUCINA DEI BUTTERI: L’ACQUA DELLA STORIA E IL VINO DELLA LEGGENDA
Ai piedi delle colline, da novembre a febbraio, nuvole basse si muovono stanche, come reti tirate da pescatori invisibili. In agosto il sole arroventa le creste di argilla, imbrunisce le sterpaglie. Escono dai querceti, sotto i loro cappelli neri e si arrampicano sulle colline, simili ai banditi nel film “Per qualche dollaro in più”. I loro cavalli alzano nubi di polvere in estate.
D’inverno i pastràni, lunghi mantelli, li proteggono dalla pioggia che profuma di erbe antiche e tenaci, di nociarello e di ortica. I butteri sono i cowboy della Maremma: pastori a cavallo della campagna toscana e dell’Agro pontino. L’acqua limpida della storia, qui si mischia al vino torbido ed esaltante della leggenda. È la terra del mitico brigante Tiburzi, Robin Hood grossetano che uccideva perché fosse rispettato il quinto comandamento. E i butteri sono i discendenti di Augusto Imperiali, il buttero per antonomasia, l’eroe popolare che sfidò e vinse Buffalo Bill. La loro storia passa anche attraverso la loro cucina.
CUCINA DEI BUTTERI: L’ACQUACOTTA, MISERIA E NOBILTA’
Ribollita, trippa, fiorentina questo è cibo per butteri. Ma prima di tutto l’acquacotta, un piatto tradizionale nato in Maremma dall’arte contadina. Al di là dell’alone di leggenda che li circonda, i mandriani erano principalmente uomini di fatica, pastori al soldo dei latifondisti. E il soldo non era certo d’oro. La fame e l’inventiva hanno saputo rendere grandi anche gli ingredienti più miseri. Dovendo fare di necessità virtù e sfamarsi con quel che la terra offriva loro, i butteri che tornavano alle stalle dopo una giornata di galoppate trovavano spesso ad aspettarli l’acquacotta. Un pasto veloce, prima di tornare a radunare le mandrie, sistemare i recinti, ultimare le faccende prima della notte. E un metodo gustoso per non buttare niente.
Si dice che questa zuppa risalga ai tempi in cui i carbonari lavoravano in Maremma, durante i rigidi inverni. La vita dei carbonari era ancora più dura di quella dei butteri: svernavano in capanne di sterpi, costruite attorno a fuochi sempre accesi su cui bolliva un pentolone d’acqua. Ogni boccone scroccato o scambiato col carbone veniva messo nel calderone: aglio, pane vecchio e cipolle. Se le cose andavano bene, anche pomodori, sedano e carote, qualche uovo. Da quest’umile origine è nata l’attuale e più ricca versione dell’acquacotta. Con varianti infinite, non ha perso la sua semplicità originaria. Ma al pane e alle verdure, si possono aggiungere funghi secchi e salsiccia piccante arrostita alla brace. Però quando “Augustarello” sconfisse l’americano Bufalo Bill scommentiamo che non festeggiò con l’acqua cotta.
CUCINA DEI BUTTERI: E’ NATO PRIMA IL BUTTERO O LA VACCA MAREMMANA?
Nel 1890 Bufalo Bill, sterminatore di bisonti e d’indiani, attore e domatore di cavalli, sbarca col suo circo a Napoli. Arrivato a Cisterna di Latina ha una discussione con il duca Onorato sulle sue abilità coi cavalli. La sfida inizia così e gli avversari non potevano che essere i butteri. Il resto è cronaca: ecco quella del Messaggero del 10 marzo 1890: “Il morello, tenuto con le corde, si dibatte frenetico; s’alza sulle zampe di dietro, tira rampate. I butteri le schivano sempre con la sveltezza di uomini esperti. Riescono finalmente a mettergli la sella con il sottocoda, e d’un salto uno dei butteri gli è sopra. È Augusto Imperiali. Nuova tempesta di applausi. I butteri, entusiasti del successo ottenuto, saltano, ballano, buttano all’aria i cappelli, tanto per imitare in tutto quello che si è visto fare dagli americani. Augusto Imperiali fa una stupenda galoppata intorno al campo, tenendo con la destra le redini e agitando con la sinistra il cappello”.
Quella sera Bill fugge a gambe levate senza pagare la scommessa perduta. Ma “Augustarello” e i mandriani avranno recuperato con la gloria e una degna abbuffata. E se parliamo di festa parliamo di carne. Certo una volta non ce n’era gran abbondanza – nel quotidiano magari un po’ di ventresca o budellone da infilare nel pane con la cicoria. Ma oggi tutti possono gustare il delizioso frutto del duro lavoro dei butteri: la carne di vacca Maremmana.
TUTTA LA FIEREZZA DELLA MAREMMANA
La Maremmana è una razza autoctona, una bestia immensa e grigio-bianca, dalle grandi corna a lira, discendente di quei buoi del centro Europa che un dì sfidarono le Alpi, valicando montagne di neve. Animali stupendi e potenti, che sul monte Amiata i cavatori utilizzavano per il trasporto del marmo. Le erbe spontanee che crescono sui terreni dove pascolano sono il cibo preferito degli animali ed è proprio grazie alla loro alimentazione che la carne di Maremmana si presenta al palato sapida e intensa.
L’allevamento allo stato brado contribuisce al benessere animale e alla salubrità delle carni. Con la bonifica e la meccanizzazione agricola la razza andò in crisi, sfiorando l’estinzione. Ora la situazione sta cambiando e non solo i butteri, ma anche il Presidio Slow food sostengono la sua graduale rinascita. La Maremmana è una razza spartana, allevata solo allo stato brado. Per questo anche la figura del buttero è sopravvissuta. Un frammento di un altro tempo che resiste nel nostro, fatto di schermi e asfalto. Un dagherrotipo avvolto di mistero che sfuma nel mito. Che tenace si aggrappa alle corna dei suoi tori, come sa fare da sempre, e non scompare.
RICETTA SLOW PER UNA CARNE STRONG
Slow Food spiega che “esiste una ricetta tradizionale per apprezzare al meglio la carne di Maremmana: uno spezzatino fatto con i pezzi più muscolosi e una concia “asciutta”. Si lascia riposare la carne una notte intera con un trito di rosmarino, salvia e un po’ di pepe. Il giorno successivo la si rosola con olio extravergine di oliva, eliminando eventualmente la poca acqua che si forma.
Si procede quindi a una nuova rosolatura con un trito di cipolla rossa, sedano, prezzemolo e aglio. Quando la carne tende ad “attaccare”, si unisce un vino rosso di Maremma e il sale. Sfumato il vino, si aggiunge il concentrato di pomodoro e il brodo per ultimare la cottura, unendo, se necessario, altro vino. La preparazione è molto lunga, ma il risultato eccezionale”.
Di Enrico Cicchetti 03/01/2015