LA MORA ROMAGNOLA, SUINO AUTOCTONO A RISCHIO ESTINZIONE, È UNA FETTA DI BIODIVERSITÀ DA DIFENDERE “COI DENTI”: MANGIANDOLA PER NON PERDERLA
Se si parla di “mora romagnola” la maggior parte di noi correrà con la memoria (o con la macchina) alla formosa ragazza di Cattolica incontrata quella sera in Riviera. Molti meno saranno quelli che penseranno al ben più “formoso” suino dal bel manto scuro e dai misteriosi occhi a mandorla. E perché siano in pochi a conoscere questo maiale, è presto detto: la Mora Romagnola, che fino agli Anni ’50 popolava tutto il versante nord dell’Appennino, da Ravenna a Rimini, è oggi a rischio estinzione. Se possiamo ancora ammirarne il simpatico muso e gustarne le prelibatezze è grazie ai pochi allevatori che stanno cercando di ripopolare la specie.
LA MORA ROMAGNOLA: UNA FETTA DI BIODIVERSITÀ DA DIFENDERE “COI DENTI”
Da un’analisi della Coldiretti in merito all’allarme lanciato dalla FAO, secondo cui il 17% delle specie nel mondo rischia di scomparire, emerge che sono ben 130 le razze italiane che si stanno estinguendo: ovini soprattutto, ma anche bovini, equini, suini che sopravvivono solo grazie all’impegno di attenti allevatori. È il caso della capra girgentana, con le sue lunghe corna a forma di cavaturacciolo: ne sono rimasti 400 capi per fare la “tuma ammucchiata”, il formaggio che i contadini facevano murare durante la stagionatura, per nasconderlo ai briganti. O come la gallina di Polverara, con il suo caratteristico ciuffo che ha attratto diversi pittori fin dal 1400. O ancora il curioso maiale dal mantello nerastro e dall’addome più chiaro: la Mora Romagnola, appunto. Un regalo prezioso alla conservazione del nostro patrimonio di varietà animali, che non dobbiamo assolutamente perdere.
LA MORA ROMAGNOLA: MAI DIRE “AMARCORD”
Per non dover sospirare nostalgicamente un “amarcord”, pensando alla Mora Romagnola, l’unica speranza è che si conoscano le sue prelibate qualità gastronomiche e si scelga di acquistarne le carni dai laboriosi allevatori che hanno deciso di riprodurla. Uno di questi è Matteo Zavoli, che oltre ad essere il referente dei produttori del presidio Slow Food, insieme al fratello Giovanni cura l’azienda agricola di famiglia. Nata dall’esperienza del nonno nel 1959, l’azienda Zavoli si estende sulle prime colline dell’entroterra romagnolo, ad un tiro di schioppo dal mare di Cattolica: 22 ettari di terreno a ciclo chiuso sulle colline di Saludecio, con vista sull’Adriatico, dove i suini vivono allo stato semi-brado.
«La vicenda della Mora Romagnola – spiega Matteo – è appassionante perché, dai circa 22.000 esemplari che esistevano negli Anni ’50, siamo passati ad averne poco meno di 20 capi negli anni ’90. Oggi tra allevatori ci scambiamo i capi, per evitare la consanguineità, e con tempo e fatica la razza si sta ripopolando. Ma si parla ancora di numeri ridicoli: ce ne sono un migliaio soltanto». La causa di questa quasi-estinzione di massa è dovuta all’importazione dell’onnipresente Large White. «I suini inglesi o americani sono stati preferiti per la loro genetica – crescono molto più velocemente della Mora – e paradossalmente, per la minor percentuale di grasso. Negli anni c’è stata una sorta di demonizzazione del grasso, che invece rende le carni morbide e gustose. Stiamo lottando, insomma, per salvare una fetta di biodiversità». Ma com’è la carne di Mora. E come gustarla al meglio?
LA MORA ROMAGNOLA: MANGIARLA PER NON PERDERLA
Per conoscere la carne di Mora, dobbiamo partire dall’animale. Ce lo spiega sempre Matteo: «si riconosce subito per il pelo marrone scuro che tende al nero (da cui il nome ndr), per il particolare taglio a mandorla degli occhi, e per la presenza, soprattutto nei maschi, di zanne molto lunghe, che li rendono simili al cinghiale. La testa è piccola, con le orecchie piegate in avanti e le setole nere formano lungo la schiena una specie di criniera detta “linea Sparta”». Come molte vecchie razze la Mora è vigorosa, predisposta all’ingrassamento e molto rustica, perfetta per l’allevamento all’aperto. Va bene, ci siamo. Sperando che la lunga attesa vi abbia stimolato l’appetito, è il momento di parlare della carne.
LA MORA ROMAGNOLA: CARNE PRELIBATA, ALLA BRACE O INSACCATA
Sapide, molto morbide ma compatte, alquanto grassottelle: queste le caratteristiche che contraddistinguono le carni di Mora. «Il colore della parte magra – racconta Matteo Zavoli – è scuro e il lardo è ricco di grassi polinsaturi, che hanno un punto di fusione più basso. Questo fa sì che cuocendolo scompaia più rapidamente e che si sciolga sul palato. Il gusto è dolce e delicato». Acquolina in bocca? Bene, sappiate che la carne di Mora è perfetta per la produzione di salumi di pregio come culatello o spalla cruda. I prosciutti sono da tagliare rigorosamente al coltello. «Bisogna portare i salumi a diverse temperature durante l’asciugatura. Si tratta di una carne che non si asciuga mai completamente, il che la mantiene morbida e gustosa». Anche le tradizionali cotture casalinghe bastano a esaltare i sapori e i profumi, ricchi e complessi, di questa carne “ritrovata”. «Meravigliosi i tagli a bassa cottura, come la coppa al forno ma è assolutamente ottima anche da fare alla griglia: resta più delicata del maiale normale. Attenzione a non rovinarne il grasso con fiamme eccessive. Squisite la pancetta e la braciola, ma anche arrosti e spiedini. La carne è molto marezzata e il grasso le conferisce dolcezza».
L’AZIENDA AGRICOLA ZAVOLI E LA MORA ROMAGNOLA: “C’ERA” E C’È ANCORA
Tre generazioni di Zavoli hanno lavorato con tenacia e perseveranza, superando gli imprevisti di questo duro, ma affascinante lavoro. Oggi l’azienda Zavoli vende i sui prodotti in Italia e all’estero. Matteo e Giovanni hanno eliminato scatole e sottovuoto: i salami li immergono nella cera d’api, un prodotto naturale usato per mantenere i salumi dopo la stagionatura, in quanto creando un rivestimento naturale, ne allunga la “vita” di quasi un anno. Premiato al Salone del gusto di Torino con il premio Slowpack, per gli imballaggi sostenibili, questo nuovo metodo di conservazione dei salumi è decisamente innovativo perché consente di mantenere intatte ed in ottime condizioni le caratteristiche organolettiche del prodotto. La cera è impermeabile all’acqua, ma traspirante all’aria. In questo modo l’insaccato può respirare, senza perdere la sua umidità fisiologica: l’aria riesce ad entrare, a differenza di quanto accade nei prodotti sottovuoto.
di Silvia Strada 30/01/2016
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