Chi di voi almeno una volta non ha detto: “Andiamo a mangiare una pizza”? Da sempre si parla di lei: nel 1966 Aurelio Fierro cantava «Volevo offrirti, pagandolo anche a rate, nu brillante e quínnece carate… Ma tu vulive ’a pizza, ’a pizza, ’a pizza, cu ’a pummarola ’ncoppa…’a pizza e niente cchiù!».
Bene, da oggi la Pizza napoletana, o meglio l’Arte dei Pizzaioli Napoletani, diventa ufficialmente Patrimonio dell’Umanità. Il dodicesimo Comitato per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco, infatti, riunito in sessione sull’Isola di Jeju, nella Corea del Sud, ha valutato positivamente la candidatura italiana. “Perché fare il pizzaiolo è un’arte – si legge nella decisione finale dell’Unesco. – Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico” durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale”.
Non si sa con precisione quando sia stata inventata la pizza a Napoli. La leggenda racconta che la prima venne realizzata da Raffaele Esposito (il pizzaiolo accreditato dell’invenzione) il quale ne cucinò una con pomodoro, mozzarella e basilico in onore della bandiera italiana per la Regina Margherita Di Savoia.
Oggi è un prodotto comune che ha avuto enorme popolarità diffondendosi in tutto il mondo. I maggiori consumatori sono gli americani con 13 chili a testa, primi soltanto rispetto agli italiani che ne consumano 7,6 chili all’anno e staccano spagnoli (4,3), francesi e tedeschi (4,2), britannici (4), belgi (3,8), portoghesi (3,6) e austriaci, che con 3,3 chili di pizza pro capite annui chiudono questa classifica. L’arte dei pizzaioli napoletani è il settimo tesoro italiano a essere iscritto nella Lista rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco. L’elenco tricolore comprende anche l’Opera dei pupi (iscritta nel 2008), il Canto a tenore (2008), la Dieta mediterranea (2010) l’Arte del violino a Cremona (2012) e la Vite ad alberello di Pantelleria (2014). Accanto al patrimonio culturale immateriale, l’Unesco ha riconosciuto nel corso degli anni anche un elenco di siti e proprio l’Italia è lo Stato che ne vanta il maggior numero a livello mondiale. Con questa iscrizione lo Stivale raggiunge il Giappone che finora deteneva il primato con tre iscrizioni enogastronomiche.
Significativamente, però, gli ultimi elementi ad essere iscritti negli elenchi, dallo Zibibbo di Pantelleria alla Dieta Mediterranea, fanno riferimento al patrimonio agroalimentare made in Italy, a testimonianza della sempre maggiore importanza attribuita all’alimentazione non a caso il 2018 è stato proclamato l’anno internazionale del cibo italiano nel mondo.
di Roberto Serrentino – 7 dicembre 2017