AGLI AFFERMATI CHEF CHE NON SERVONO IL TRADIZIONALE ARROSTICINO ABRUZZESE RISPONDONO GLI “ARROSTICINARI” CHE DI QUESTO PRODOTTO HANNO FATTO UNO STILE DI VITA
Anche a tavola esistono delle fazioni e un po’ come in politica non è raro assistere a degli scontri. Esistono i riformisti, sempre aperti a nuovi esperimenti culinari, i reazionari, più attaccati alle vecchie tradizioni e i moderati, coloro che cercano di trovare un punto d’incontro nella discussione. Ma lasciamo la politica a chi dice di saperla fare. Questa è un’altra storia, tutta abruzzese, ma che per gusto e bontà può interessare anche il resto d’Italia. Abruzzesi infatti sono gli arrosticini, Un prodotto tradizionale, gustoso e ormai apprezzato in tutta la penisola. Sarebbe una storia di intrecci di gusti e tradizioni perfetto. Nei ristoranti stellati d’Abruzzo, o dove comunque si servono ricercati piatti gourmet, l’arrosticino non entra. Ma niente paura: per gustarlo ci si può rifugiare nei cosiddetti “arrosticinari”. Tuttavia si è creata una situazione che inevitabilmente divide questi ultimi dagli chef, tra frasi ironiche e frecciatine velate. Emerge che la cucina gourmet non fa rima con arrostiscino. E secondo noi è un peccato e ci piacerebbe un giorno scrivere di qualche chef gourmet che inizia sperimentazioni o azzardi con gli arrosticini.
GLI ARROSTICINI ABRUZZESI: DALLE ORIGINI ALLA TAVOLA
Icona regionale, l’arrosticino abruzzese nasce come alimento di transumanza. I pastori, isolati per lunghi periodi, si nutrivano di questi lunghi spiedini fatti utilizzando la carne delle pecore non più produttive o di agnello castrato. La carne veniva prima tagliata in piccoli pezzetti e poi infilata in spiedi aguzzi, ricavati tagliando il fusto di piante acquatiche, raccolte lungo il corso dei fiumi. Infine, veniva cotta alla brace.
Oggi la preparazione è più curata. Il tipico arrosticino abruzzese viene tagliato in cubetti di circa un centimetro. Ogni pezzetto viene poi infilzato nello spiedo a mano, secondo la tradizione. Anche se vista la crescente richiesta, ormai sono stati ideati metodi per prepararne un numero consistente in serie. Importante è ricordarsi di alternare la carne a cubetti di grasso che, sciogliendosi sulla brace, ammorbidisce e arricchisce di sapore l’arrosticino. Elemento importante è la qualità della carne, meglio se di castrato, e l’abilità nella cottura. Per essere cucinati nel modo corretto, serve un braciere particolare chiamato fornacella, una specie di canaletta di grondaia larga circa di 10 centimetri, poggiata su quattro piedi.
Gli arrosticini, posti ordinatamente vanno girati continuamente per circa 6/7 minuti e solo alla fine della cottura vengono salati. Sia in casa che al ristorante vanno serviti a fascio, cioè vengono portati al centro della tavola in mazzi che variano dai 20 ai 50 pezzi. Si può anche scegliere di consumarli camminando, quando sono ancora caldissimi: in ogni caso vanno mangiati con le mani, sfilando la carne con i denti, nel rispetto della tradizione.
NIENTE ARROSTICINI: PARLANO GLI CHEF
“Nel mio ristorante manco la puzza entra dell’arrosticino”. A dircelo è Valerio Centofanti de “L’angolo d’Abruzzo”, uno degli chef più famosi della regione . “Un conto era la bontà dell’arrosticino che veniva fatto un tempo – ha spiegato lo chef – altro discorso sono invece gli arrosticini introdotti con i nuovi metodi industriali, fatti con gli scarti dell’animale”. Secondo lo chef abruzzese infatti, anche i più buoni arrosticini in circolazione hanno una carne poco masticabile. “Lo devi praticamente ingoiare” dice ironicamente Centofanti. La soluzione c’è ed è proprio il famoso cuoco a dircela: “se vuoi mangiare un buon arrosticino devi mangiare quello di castrato, ma ti viene a costare più di 50 euro al chilo”.
Anche la chef Nadia Moscardi del ristorante “Elodia” non serve arrosticini nel suo locale. Lei però ne fa più una ragione culturale e di rispetto verso le tradizioni. “Non si può prendere e riadattare un piatto tipico come l’arrosticino abbruzzese – spiega – rischi di suscitare l’ira popolare”. Per la talentuosa chef è un’icona intoccabile, simbolo della tradizione culinaria e non ci si può avventurare in esperimenti strani. “Anche se – racconta la chef – c’è chi si è cimentato in questa prova”. Si tratta dello chef stellato Massimo Bottura, che nel corso di un meeting culinario a Chieti, ha servito una rivisitazione del tradizionale arrosticino abruzzese. “Ha scorporato la carne dallo spiedino farcendo un pane cotto al vapore servito con salse particolari” spiega Nadia Moscardi “ma quello era un evento particolare e lui uno chef d’alto livello”.
“L’ARROSTICINO È ROBA NOSTRA”
Certo gli arrosticinari non sono dispiaciuti della scelta fatta dai grandi chef ma difendono a spada tratta le loro tradizioni. “Non si può improvvisare con gli arrosticini, forse è per questo che non li servono”. Una frase che sa di sfida quella dell proprietario de “L’arrosticino” a Tagliacozzo, in provincia de L’Aquila, dove ancora si segue la tradizione servendo il fascio di spiedini dentro una brocca di coccio o terracotta. “Poi è anche vero che l’arrosticino costa, noi possiamo permetterci di fare un buon prezzo perché facciamo solo quelli”. Lo stesso confermano anche altri storici arrosticinari: la scelta degli chef non è certo un problema per loro che continuano a proporre questo prodotto tipico. E a chi cerca di capire il perché della decisione presa da molti ristoranti affermati della regione di non servire arrosticini rispondono ironicamente: “se vuoi mangiare la pizza puoi andare ovunque, ma se vuoi un buon arrosticino devi passare da noi”.
Di Davide Perillo 12/03/2016
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