VI RACCONTIAMO LA STORIA DELLA ZUPPA DI MANZO FRANCESE LE POT AU FEU CHE DA SPECIALITA’ RUSTICA SI E’ TRASFORMATA IN UN PIATTO RAFFINATO DEGNO DEI MIGLIORI RISTORANTI PARIGINI
Ne hanno parlato i più grandi scrittori francesi del XIX secolo e ancora oggi questo piatto stimola non solo un sano appetito ma anche vivaci e animate discussioni.
Alexandre Dumas ne riportò per primo la ricetta descrivendola nel suo Grand Dictionnaire de la Cuisine e se per Massaupant le Pot au Feu apparteneva a una realtà rustica, aliena dalle stravaganti raffinatezze borghesi, per Balzac, invece, si trattava di una zuppa costosa e al manzo preferiva la meno pretenziosa carne di pollo. O almeno così ragionavano i loro personaggi.
E infatti secondo un’antica leggenda pare che all’origine della portata ci sia stata la volontà di Enrico IV, Re di Francia, che nel XVI secolo, abbracciato il cattolicesimo, decise la fine della miseria: “Non voglio più – disse – che nel mio regno ci siano contadini così poveri da non poter permettersi un pollo in pentola la domenica”.
Poi in tempi più recenti Jean Louis Schefer, ottuagenario filosofo e critico d’arte, ha offerto un’altra chiave di lettura riconducendo le radici di questa zuppa al sogno neolitico: “quello del focolare, del vaso d’argilla, della pentola che bolle e della fame finalmente placata”.
POT AU FEU : UN’AMORE DI ZUPPA
Per quanto mi riguarda più delle congetture mi affascina l’affetto che il giornalista gastronomico statunitense Arthur Prager seppe riversare su questa zuppa che non solo amava raccontare ma cucinava e spesso, tanto da esserne sfacciatamente ossessionato.
Ma è mai possibile amare una zuppa così come si fa per una figlia, un’amante o una moglie devota? A quanto pare sì, se la si lascia sul fuoco per più di vent’anni. Ma non crediate che la zuppa newyorkese di Prager nel 1981 abbia battuto un qualche record.
Nossignori. La sua era una lattante a confronto con quella che in Normandia arrivò a spegnere ben trecento candeline, mentre a Perpignan, paesino ai piedi dei Pirenei, fino alla Seconda Guerra Mondiale, ce ne fu una che iniziò a borbottare addirittura nel XV secolo.
Bastano dunque questi pochi aneddoti per capire perché le Pot au Feu merita l’appellativo di zuppa perpetua. Le zuppe thailandesi cortesemente cedano il passo al piatto più amato della provincia francese.
POT AU FEU : DALLA PROVINCIA ALLA CAPITALE
Ma se con l’immaginazione andassimo a cercare la scintilla che ha originato questa specialità molto probabilmente ci ritroveremo di fronte a qualcosa di meno speculativo e decisamente più pratico.
Cosa intendo dire? Immaginate una massaia normanna che ogni giorno nel Medioevo doveva accendere il camino. Alla fine, stanca di questo tediosa incombenza, avrà pensato bene che il fuoco fosse meglio non spegnerlo mai, così da avere una casa sempre calda e una brace sempre pronta.
Da qui dunque il passo dalla fiamma eterna alla zuppa perpetua è stato breve. Bastava far sobbollire la zuppa senza sosta mettendoci di tanto in tanto ingredienti sempre nuovi – verdure, ortaggi, polpa ed ossa di manzo – ed ecco come una semplice cocotte diventa un piatto raffinato da servire nei migliori ristoranti della capitale. Chapeau!!!
POT AU FEU : LA RICETTA DI PRAGER
Ovviamente mangiare ogni giorno al ristorante non costa due soldi, quindi, le Pot au Feu impariamo a prepararlo da noi. L’esperienza è da provare, se non altro ci farà fare bella figura con gli ospiti. Ma che un miracolo in cucina faccia strage di cuori questa è solo pia illusione. Gli scapoli si mettano pure l’animo in pace.
Ad ogni modo, la ricetta classica, quella raccontata da Prager e che si adatta perfettamente alle esigenze di chi torna a casa dal lavoro, si compone di due parti, il brodo chiamato bouillon e la carne chiamata invece bouilli.
Per il bouilli qualsiasi taglio di manzo va bene, ma ricordate più gli ingredienti sono di qualità, più la zuppa è saporita. Nella pentola inoltre potete aggiungere anche dell’osso col midollo, l’importante è che prima di bollire eliminiate la schiuma, altrimenti conferirà alla vostra zuppa un aspetto scuro e un retrogusto amaro.
Abbondate poi con ortaggi e vegetali (cipolle, sedano, carote, patate, porro e rape), insaporite con del brodo e diluite con dell’acqua. A questo punto tocca alle spezie: aglio, timo, aneto, sale e pepe. Ma cinque minuti prima di spegnere i fornelli, non dimenticate aceto rosso e zucchero granulato.
QUESTA ZUPPA NON SMETTE MAI DI SORRIDERE
Nel frattempo la pentola continua a sobbollire. Dopo un’ora di cottura il brodo sarà ancora debole, ma non ha importanza col tempo acquisterà consistenza. A fuoco spento, infatti, la zuppa continua a cuocere diventando più densa e sapida. Una volta raffreddata però mettetela in frigo.
Il giorno seguente tiratela fuori ed eliminate il grasso che si è solidificato in superficie. Poi scaldate per 20 minuti e vedrete che la vostra zuppa vi sorriderà, avrà infatti acquisito tutto un altro sapore e a quel punto sarà pronta per essere servita con pane, verdure e del buon vino rosso.
Il bouillon che rimane, mi raccomando, non gettatelo, potrà essere utilizzato per una nuova zuppa che se ben refrigerata e scaldata, almeno due volte a settimana, non si guasterà mai, anzi diventerà sempre più buona man mano che aggiungerete scarti preziosi: ossa, carne e succhi. E non potrebbe essere diversamente altrimenti che zuppa perpetua sarebbe le pot au feu!
di Gianluca Bianchini 19 /07/2020