NEL ROMANZO AUTOBIOGRAFICO DI LEONARDO LUCARELI “CARNE TRITA, L’EDUCAZIONE DI UN CUOCO” NON ESISTONO GLI CHEF SUPEREROI DELLA TV, MA SOLO STORIE DI VITA CRUDA
“Più che un grande creativo, il cuoco fa un lavoro artigianale. Io lavoro con le mani, trasformo la materia, mi sporco, mi taglio”. Leonardo Lucarelli, classe 1977 ha le idee chiare sulla cucina. Laureato in antropologia, inizia a fare il cuoco per pagarsi gli studi. In giro per l’Italia colleziona un’esperienza dopo l’altra: dalle bettole, dove oltre a cucinare si ritrova anche lavare i piatti, fino ai ristoranti stellati. “È un privilegio fare un lavoro che ami, ma allo stesso tempo una dannazione. Ti coinvolge profondamente, non c’è più riposo, non c’è più casa, non stacchi mai perché te lo porti dentro. Non dici faccio il cuoco, ma sono un cuoco. Diventa un’esperienza totale e questo vale sia agli alti livelli, che in quelli più bassi”. Parte da questo “Carne trita, l’educazione di un cuoco”. Lucarelli nel suo libro racconta storie di cuochi qualunque, quelli che ogni giorno cucinano davanti ai fornelli di locande, mense e bettole di periferia ma anche in ristoranti stellati.
LEONARDO LUCARELLI, CARNE TRITA: STORIE DI VITA IN CUCINA
Attraverso le pagine del libro è possibile scoprire una realtà tutta nuova. Appena superata la porta della cucina, si apre un mondo fatto di regole feroci, con contratti precari e lavoro nero, proprietari pazzi, stagisti e lavapiatti sfruttati per poche centinaia di euro al mese, in ristoranti che aprono e chiudono continuamente. Spazi spesso angusti e illuminati al neon, diventano un palcoscenico dove gestire gli imprevisti, rispettare le tempistiche, conoscere il prodotto e curare i dettagli sono le uniche cose che contano. Non importa chi sei e cosa fai fuori. Così, succede che a lavorare nei ristoranti giungano persone con vite fuori dal comune: cocainomani, alcolisti, squilibrati, immigrati clandestini, persone che hanno conti in sospeso con la legge. In cucina, impegnati ad appagare i bisogni degli altri, trovano la loro identità più che altrove. Tra frustrazione e deliri di onnipotenza, i piatti escono dalla cucina perfetti, immacolati, come fosse la cosa più semplice del mondo. “Non vi aspettate un buco della serratura in cui sbirciare il dietro le quinte della cucina per cogliere in fragrante gli chef. E’ una storia di vita che non esce mai dalla cucina, ma è anche una storia che parla di cucina senza dimenticarsi mai della vita”.
LEONARDO LUCARELLI, CARNE TRITA: UN MONDO DIVERSO DA QUELLO DEGLI CHEF IN TV
Tutto questo il resto del mondo non lo sa. I programmi televisivi come Masterchef, Cucine da Incubo e le pagine patinate dei settimanali mostrano solo chef di successo e ognuno di essi viene glorificato come un superuomo colto da fuoco sacro che elabora e crea opere d’arte. “Io ovviamente non c’è l’ho con Cracco che posa accanto a una patatina confezionata con sopra un uovo di quaglia dicendo: osala nei tuoi piatti”. Non è colpa dello chef se in questo momento sta sul piedistallo, ma è la televisione che cerca ogni giorno nuovi eroi da dare in pasto e ora è il turno degli chef”.
LEONARDO LUCARELLI, CARNE TRITA: CRESCITA E RISCATTO IN CUCINA
Quando lo spettacolo finisce, resta solo il mondo della cucina, quello vero, coi i suoi protagonisti spinti ad andare avanti da buoni stipendi e pochi compromessi personali. “Carne trita” deriva proprio da questo: “Sono quelle persone che sarebbero state sputate dalla vita perché non avevano soluzioni fuori dalla cucina. Come gli scarti di macelleria, anche loro, entrando nel tritacarne, diventano qualcosa di buono e che ha senso. Sono convinto che fare un lavoro fatto bene ti rende una persona migliore.”
di Ilaria Pani 24/06/2016