NON DI SOLE FRATTAGLIE VIVE IL QUINTO QUARTO LO SANNO BENE I PALERMITANI CHE CON I PEZZI DI SCARTO DEL VITELLO – MUSSU MASCIADDARU E CARCAGNUOLU – PREPARANO DEI TOCCHETTI MOLTO GUSTOSI CONDITI GIUSTO CON UN PO’ DI SALE E LIMONE
Carneide! Chi è costui o meglio chi sono costoro? Mussu, masciaddaru e carcagnuolu. Sembrano i nomi di tre sgherri animati da cattive intenzioni e invece no, sono solo tre innocenti “frattaglie” da fare a pezzi, lessare e condire a mo’ di insalata. Non spaventano nessuno, quindi, anzi sono molto richieste negli affollati mercati di Palermo e a quei turisti che non sanno ancora cosa siano ecco che arriva puntuale l’invito: “Signuri assazzasse (prego signore assaggi)”. E’ così dunque che i banchetti di strada vendono queste specialità locali. Come da tradizione: belle calde e condite con un po’ di limone.
Spesso però qualcuno scambia queste specialità con la quarume, il mammasantissima dei piatti siculi a base di interiora. Ma non sono proprio la stessa cosa. In comune hanno solo la carne di vitello, per il resto infatti si tratta di tagli molto diversi come diversa è la loro preparazione.
E’ giusto quindi ripristinare le gerarchie e spiegare la differenza che passa fra questi street food che animano i vivaci mercati palermitani. Da Ballarò alla Vuccirìa. Poi che siano serviti in un piatto, in un cuoppo o in un panino fa poca differenza. Sempre buoni sono.
MUSSU MASCIRUDDI E CARCAGNUOLU NON SCAMBIATELI CON LA QUARUME
Perché spesso mussu, masciaddaru e carcagnuolu vengono scambiati con la quarume? Semplice, perché vengono entrambi venduti dal quarumaru (colui che appunto prepara la quarume) e quindi è normale che ci si possa confondere. In realtà però mentre la quarume si prepara con le interiora del vitello, ovvero con pezzi di carne interni alla carcassa, i secondi invece si preparano con quelle parti esterne ad essa come ad esempio le mammelle o la coda.
Non è difficile capire infatti che con mussu si intende la testa dell’animale. Vale a dire: il muso con la lingua e le orecchie del vitello; con masciaddaru si intende invece la parte più carnosa della testa ovvero le mascelle; mentre con carcagnuolu si intende la zampa dell’animale e nello specifico la parte posteriore.
Quando si parla di quarume, invece, ci si riferisce ad un altro tipo di quinto quarto, ossia alle frattaglie e più precisamente all’intestino tenue, chiamato ziniero, e agli stomaci del vitello, chiamati centopelle, trippa e quagghiaru.
COME SI PREPARANO
Ma come si preparano questi piatti? Tutti prevedono che la carne venga tagliata a pezzi e lessata, solo che con la quarume le interiora si lasciano bollire insieme a prezzemolo, sedano, carote e pomodori. Poi dopo tre ore si servono calde, condite con pepe, sale, olio e per accentuarne il sapore anche con un po’ di limone.
Il muso del vitello invece va gustato a stricasale, vale a dire che i pezzetti si condiscono con abbondate sale e limone e poi vanno “arrusicati” (ovvero sgranocchiati) davanti al banco del quarumaru, ma se preferite potete portarli a casa avvolti nel classico “coppu” di carta oleata.
Con la mascella un po’ di coreografia non guasta: i tocchetti si possono adagiare su foglie di insalata o broccolo. Inoltre, nell’affascinante rituale in cui si consuma il masciddaru, c’è una regola dettata dagli intenditori del piatto: “U masciddaru si mancia cu tri ghirita picchì l’avutri ann’asserbiri p’arrasparivi a testa”. Tradotto sarebbe: la mascella si mangia con tre dita (pollice, indice e medio), perché le altre servono a grattarsi la testa.
Infine, il calcagno, la zampa dell’animale e nello specifico la parte posteriore. Anche questi tocchetti vanno gustati con sale e limone. Ma sono ottime anche in un’insalata, magari assieme alla mascella, con l’aggiunta di vari ingredienti: cipolla rossa calabrese, olive, sedano, carote, olio, aceto e pepe nero.
Insomma, mentre la quarume è un brodo di frattaglie (ma si può servire anche senza brodo), mussu masciaddaru e carcagnuolu sono insalate di carne e cartilagine, più o meno condite, e con loro certamente non finisce il quinto quarto. All’appello mancano ancora: lingua, milza, mammelle e tanto altro. Avoglia a magiare!!
di Gianluca Bianchini 14/01/2021