PASTA (MEGLI SE LUNGA), PECORINO E PEPE: LA CACIO E PEPE NON RICHIEDE ALTRO. ABBIAMO PROVATO A SCOPRIRE PERCHÉ QUESTO SEMPLICE PIATTO SIA COSÌ APPREZZATO E PERCHÉ NON TRAMONTERÀ MAI.
Raramente mi sono ritrovato a mangiare in un’osteria romana, senza che tra i commensali si alzasse il dibattito amatriciana Vs carbonara. Una diatriba su cui si potrebbe scrivere un trattato antropologico di tutto rispetto. Da una parte la carbonara, dorata e cremosa, ghermisce gli occhi prima del palato; dall’altra, l’amatriciana ti frega con il profumo di sugo e di casa. Tra le due però, la mia scelta è (quasi) sempre sicura: cacio e pepe.
LA CACIO E PEPE DEI FRATELLI MORI
Decisione che prendo soprattutto nei locali che non ho mai provato, perché, tra le paste, la cacio e pepe è come i gusti crema e cioccolato per il gelato: se non sono buoni quelli, è inutile provare il resto. Così ho fatto anche all’Osteria dei Fratelli Mori, dove sono stato invitato proprio per provare la loro cacio e pepe. I fratelli in questione non sono solo nell’insegna di via dei Conciatori (Ostiense) ma, come da tradizione d’osteria, sono soprattutto in sala a coccolare i clienti, a raccontare i piatti e a far sentire la romanità nell’aria. Tutto supervisionato dall’occhio vigile di mamma Giuliana.
Visto che mi c’hanno chiamato loro, invito Alessandro e Francesco Mori a sedersi con me per raccontarmi perché, secondo loro, la cacio e pepe non morirà mai. “È un piatto – mi dice Alessandro – semplice e veloce, che possono fare veramente tutti: a Roma sono in pochi quelli che non hanno un po’ di pecorino in frigorifero e una manciata di pepe macinato”. Pochi ingredienti, semplici e facili da reperire ma sono solo questi gli elementi per una pasta immortale? “Ci vogliono ingredienti al top – precisa Francesco, il più giovane – e ricercarli fa parte della preparazione del piatto. Ci vogliono il giusto pecorino (stagionato minimo 24 mesi), la pasta fresca, meglio se artigianale e il pepe macinato fresco ma più di tutto ci vuole er manico, come se dice a Roma“.
LA CACIO E PEPE NON MORIRÀ MAI
Avecce er manico, lo diciamo per i lettori fuori Raccordo starebbe a dire, avere abilità; avere la mano nel fare qualcosa di pratico. E si capisce perfettamente cosa intenda Francesco. Perché per fare una cacio e pepe, e farla buona, non bastano i buoni ingredienti, soprattutto bisogna saperla fare. Questo piccolo elemento è lo spartiacque per la cacio e pepe perfetta: una pasta che possono fare tutti ma che in pochi sanno preparare ad arte. Devo dire che allo chef dei fratelli Mori il manico non manca e vederlo spadellare dalla sala mette davvero appetito.
Nei tavoli affianco al nostro, la clientela più varia riceve i propri piatti. Dalla cucina escono pochi primi piatti: in una cena infrasettimanale i commensali si tengono leggeri. Mi chiedo, però, quale sia la pasta che va per la maggiore e lo chiedo direttamente ai proprietari che mi rispondono sicuri: “La carbonara, dà una spanna a tutte”. “È la più conosciuta – precisa Alessandro – e la più apprezzata anche fuori dai confini nostrani. La chiedono gli stranieri ma soprattutto gli italiani non di Roma che magari non ne hanno mai mangiata una vera.”
Le ‘poche’ paste che escono dalla cucina, però sono tutti cremosi e brizzolati tonnarelli cacio e pepe. “In queste serate la clientela è abituale: sono tutte persone che ormai ci conoscono e che cercano un ambiente familiare e accogliente”. È per questo che ordinano la cacio e pepe, i Mori ne sono convinti. “semplice, equilibrata e magnereccia: la cacio e pepe accontenta tutti, sempre”. Mette tutti d’accordo perché, come recita una delle poesie sparse per tutta l’Osteria dei Fratelli Mori, ‘se è fatta co’ pazienza è ‘na qualità suprema‘.
Di Augusto Santori 20 novembre 2019