UN MACELLAIO DI ZOLA PREDOSA (BOLOGNA) CI HA SPIEGATO PERCHE’ CACCIARE LA SELVAGGINA IN UN CERTO MODO E’ ETICO E REGALA SAPORI CHE RISCHIAMO DI PERDERE
Sovente abbiamo raccontato l’evoluzione della macelleria, di come le botteghe di successo siano riuscite ad emergere grazie a carni di grande qualità e a una filosofia nuova, volta a utilizzare tutti i tagli, non solo quelli nobili, ma anche quelli considerati meno pregiati come ad esempio il diaframma o il cuore. Sappiamo che questa rivoluzione è partita da lontano, dalle stalle e dai pascoli, abbracciando l’etica di quegli allevamenti che rispettano le libertà animali e prendendo invece le distanze da quelli intensivi, dannosi non solo per le bestie ma anche per gli uomini e il loro ambiente.
Ma assodato che questa prima forma di approvvigionamento delle carni sia la migliore, ne esiste un’altra ugualmente virtuosa? Ne esiste cioè un’altra che in futuro potrebbe rappresentare un modello per il mondo delle macellerie? La risposta è sì e si chiama caccia di selezione. Una pratica che, come suggerisce il nome, prevede un abbattimento selezionato degli animali che così possono continuare a riprodursi tranquillamente nel loro habitat naturale.
Il problema però è che nel nostro Paese manca una filiera controllata di selvaggina. Ma c’è un’eccezione importante. Si trova in Emilia Romagna ed è rappresentata dalla macelleria Zivieri. Una macelleria che opera da anni in questo settore e lo fa con grandi soddisfazioni.
FILERA CONTROLLATA DI SELVAGGINA, PROBLEMI E PROSPETTIVE
“Noi siamo stati i primi in Italia a far assaggiare carni prelevate dalla caccia di selezione – afferma Aldo Zivieri, classe ’75, titolare dell’omonima macelleria di Zola Predosa (Bologna) – Abbiamo quindi un’ampia esperienza in materia che ci consente di proporre cotture espresse senza bisogno di marinature”.
Aldo ci ha raccontato che, a parte il supporto dell’Ausl, necessario per i controlli sanitari, per tutto il resto, la filiera di selvaggina dell’Appennino Tosco-Emiliano fa capo alla sua azienda. Grandi aiuti da parte della politica non ce ne sono. “In termini di logistica e commercializzazione del prodotto – conferma – la filiera è tutta a nostro carico. Mi riferisco al macello, ai mezzi di refrigerazione e agli accordi col territorio per poter cacciare”.
La caccia, dunque, è un argomento scomodo, se ne parla poco e anche per questo a livello nazionale resistono tabù che non fanno scorgere quelle opportunità che pure ci sarebbero. Opportunità che se colte andrebbero a beneficiare sia la ristorazione sia la tutela del territorio.
LA CACCIA DI SELEZIONE
Sappiamo infatti che gran parte della selvaggina servita nei ristoranti italiani viene dall’estero ed è un peccato, visto che le nostre riserve di caccia hanno tanto da offrire. In particolare cinghiali e ungolati (ovvero cervi, daini e caprioli).
“Il tema fondamentale – osserva Aldo – è proprio questo: utilizzare una materia prima abbondante nel nostro territorio, a volte perfino in numeri esagerati, ed inserirla finalmente in un processo virtuoso che da una parte rispetta la fauna, dall’altra invece crea prospettive per una nuova filiera della carne”.
Sembra un paradosso accostare la caccia di selezione al rispetto per gli animali, ma se si approfondisce bene l’argomento si scopre invece che è proprio così. “Il cacciatore di selezione – spiega Aldo – oltre ad impugnare il fucile, è coinvolto in altre attività, una delle più importanti ad esempio è il censimento. Questo gli permette di sapere quanti animali vivono in una data area e quanti si possono cacciare in base all’età o al sesso in un certo periodo”.
Ci sono poi dei codici etici che impongono di rispettare la stagione degli amori e ovviamente il parto e regole che stabiliscono dove l’animale deve essere colpito per non guastare le carni. In genere si evita di danneggiare il tratto digerente preferendo puntare al collo e alla parte alta dei polmoni.
COME SI FROLLA LA SELVAGGINA
Ma come funziona in concreto la filiera della macelleria Zivieri? “Una volta abbattute, – racconta Aldo – le prede vengono raccolte in celle di stoccaggio fino a quando non passa un furgone frigo che le porta al macello”. In questo modo il lavoro diventa tracciabile e procede in conformità con i protocolli sanitari. Vale a dire: la selvaggina viene scuoiata e controllata da un veterinario, pulita laddove permangono residui di polvere da sparo e infine tagliata e messa sottovuoto.
Un altro passaggio fondamentale della filiera è la frollatura. “La frollatura – spiega Aldo – va fatta senza osso, perché l’osso tende ad andare in putrefazione guastando così il sapore della carne. Per questo motivo in passato si usavano lunghe marinature a base di spezie, verdure e vino. Per nascondere il cattivo odore, ma non è certo quello il sapore della carne”.
Frollando invece pezzi disossati, non solo si mantiene intatto il sapore della selvaggina, ma si possono proporre anche cotture veloci – alla griglia o al barbecue – che hanno il pregio di mantenere inalterati i valori nutrizionali.
I PIATTI DI SELVAGGINA
Ed è proprio questo il valore aggiunto della filiera emiliano-romagnola. Mette sul piatto una carne lavorata bene e cotta in maniera tale da esaltare le sue caratteristiche. Ma già ottima in partenza, perché viene da animali “nomadi” che in vita sono sempre stati in movimento. “Parliamo di una carne genuina e sanguigna – spiega Aldo – scura di colore e magrissima, ricca di ferro e colesterolo povero”.
Una carne amata soprattutto dai più giovani, attenti all’aspetto etico dell’alimentazione, e che hanno imparato ad apprezzare frequentando le due attività di ristorazione della famiglia Zivieri – RoManzo e il Teatro della carne. Entrambe sono a Bologna. La prima nel centro storico, la seconda invece nel parco agroalimentare FICO Eataly World.
“Tra i piatti più richiesti – ci dice Aldo – ci sono tagliate di cervo e capriolo, roast beef e filetto, braciole e hamburger. Ma molto apprezzate sono anche la carne cruda e i salumi. Ad esempio, la mortadella di cinghiale”.
Insomma, parliamo di un’offerta gastronomica sana che contempla tanta altre portate interessanti, tutte da provare e soprattutto in contro tendenza rispetto al mainstream dell’offerta carnivora. Infatti, mentre molte ristorazioni si concentrano sulle carni estere, il menù di Zivieri invece si sofferma su quelle locali, tipiche dell’Appennino Tosco-Emiliano.
Senza trascurare l’opportunità che una filiera di selvaggina controllata rappresenta per il mondo delle macellerie. Questa filiera in futuro, se accettata e diffusa a livello nazionale, consentirebbe un approviggionamento alternativo, affiancando alle carni di allevamento (bovine, equine e suine) anche quelle selvatiche. In questo mondo si amplierebbe non solo il ventaglio dell’offerta, ma anche quello del gusto che, eticamente parlando, ricordiamolo, è altrettanto importante.
di Gianluca Bianchini 11/03/2021