ALLA CARNE ALLA BRACE PREFERISCO QUELLA CRUDA E DI SESSO FEMMINILE E NON E’ VERO CHE LE VEGETARIANE A LETTO SONO MOSCIE. CUCINO POCO E ALLA PASTELLA PREFERISCO I PASTELLI. BRACIAMIANCORA VI RACCONTA UN INEDITO VITTORIO SGARBI
Capra, Capra, Capra, Capra! Lo avete riconosciuto? E’ l’urlo di battaglia di Vittorio Sgarbi, critico d’arte, politico, mattatore delle arene televisive che racconta a Braciamiancora il suo rapporto con la tavola e il legame tra arte e cibo.
VITTORIO SGARBI: MENU A BASE DI ARTE
Classe ’52, ferrarese, critico d’arte con una spiccata propensione per la polemica e l’offesa. In fondo, anche quella è arte. Un ambiente in cui dell’ ars oratoria e, se occorre, denigratoria lui fa sapiente uso è quello politico. La poltrona da critico d’arte è la più comoda per lui, ma non disdegna nemmeno quella politica che occupa con una certa inclinazione al cambiamento tanto da guadagnarsi l’epiteto di “Il più grande trasformista d’Italia”. Nessun cambio di rotta, nessun ripensamento, nessuna crisi di fede, però, se si parla d’arte. Le sue idee sono abbastanza chiare e precise se si parla tanto di arte su tela quanto di “arte su tavola”. Pur non dichiarandosi un appassionato di cucina – se c’è da sporcarsi le mani lui preferisce i pastelli alla pastella – riconosce il legame che il cibo ha con l’arte: il cibo è cultura, è espressione del suo territorio. Convinto che l’arte e il cibo valorizzino il territorio italiano e siano ragione d’orgoglio per il Bel Paese, il professor Sgarbi è un degno rappresentante della tavola tricolore quando ci dice: “amo la pasta”. E, a dispetto di ciò che si possa ipotizzare, predilige la semplicità: spaghetti pomodoro e basilico.
VITTORIO SGARBI, CARNIVORO CONVINTO MA NON A TAVOLA
La città estense che gli ha dato i natali è luogo di cultura e d’arte senza dubbio, ed è la stessa in cui hanno origine salama da sugo (piatto tipico ferrarese si compone di un budello nel quale viene inserita una pasta composta di varie parti del maiale e spezie), salame all’aglio, cotechino, insomma prodotti che solo a nominarli fanno brillare gli occhi ad ogni carnivoro che si rispetti. Non è questo l’effetto che fanno a Vittorio Sgarbi, lui non subisce il fascino della carne, almeno quella che serve a riempire lo stomaco. “La mangio ma non è tra i miei piatti preferiti. Sono un amante dei primi, della verdura e della frutta. La carne, nonostante non sia né vegetariano né vegano, non è qualcosa per cui vado pazzo”. E questo, penseranno i carnivori più accaniti, è un difetto che Vittorio ha da quando era bambino. Malgrado i tentativi dei genitori di proporgliela lui si mostrava, non è difficile immaginarlo, fermamente ostile agli inviti. C’è, però, una precisazione nel dichiararsi un mite carnivoro: “La carne che mi piace molto è quella umana e ovviamente cruda”. Chi un po’ conosce Sgarbi sa bene interpretare questa affermazione: siamo lontani dal cannibalismo perché la carne di cui parla è quella femminile. Al fascino femmineo cede senza riserve, non importa cosa mangino le donne e quali siano i loro gusti e i loro stili di vita in ambito gastronomico: “Non mi interessa se siano vegetariane o vegane, trovo che questo c’entri poco con il rapporto con una donna. Mi è capitato di avere a che fare con donne che fossero vegetariane ma è stato un particolare del tutto indifferente in quel contesto”.
VITTORIO SGARBI: “CIB-ARTI” DI PITTURA
Non è un uomo da fornelli e pentolame, ma è conoscitore d’arte e se la cava anche con il cibo almeno nella parte teorica. Per cui con lui far diventare un dipinto un piatto diventa un gioco interessante e per nulla banale. Così se vi capita o vi è capitato di ammirare la Monnalisa di Leonardo, secondo la fantasiosa mente dell’intenditore, vi siete trovati davanti ad un succulento piatto di pesce: per Sgarbi la “Gioconda” potrebbe essere una gustosissima seppia.
Così l’intensità del dipinto di Vermeer, “La ragazza con l’orecchino di perla”, si trasforma in un dolce, delicato, elegante o forse anche in un’ostrica, una forma intrigante e un sapore deciso. La botticelliana “Nascita di Venere” è una coda di rospo e, in questo caso, l’associazione a noi, profani d’arte ma intenditori di cibo, appare davvero incredibile. Mente la carica erotica sprigionata dal ritratto di “Giuditta I” di Klimt si trasforma, a tavola, in un piatto straordinario: l’aragosta. Il soggetto dipinto, esasperazione dell’eros, diventa, non a caso, un piatto estremamente afrodisiaco. Se si chiede a Vittorio Sgarbi di compiere uno sforzo pensando ad opere che potrebbero piacere ai carnivori: “Il quarto di bue di Rembrandt o le opere di Caravaggio mi riportano a dei piatti di carne, o anche Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi”.
VITTORIO SGARBI – LA “CAPRA” SI MANGIA!
In omaggio al critico d’arte, e per far contenti gli implacabili carnivori, ecco una ricetta che merita attenzione e che potrebbe suscitare il suo interesse c’è: la carne di capra marinata alla brace. Questo animale a dir poco rustico nasconde un interno da non sottovalutare: la bontà della carne farà ricredere i più scettici. Si tratta di carne rossa di eccezionale portata nutrizionale che si connota per un sapore forte ma allo stesso tempo in grado di esaltarsi con aromi e tecniche di cottura fra i più vari. Tra questi la brace. Che scegliamo coscia, costato o spalla non fa differenza. La carne va disposta in un recipiente largo, ricoprendola accuratamente con una marinata composta da: cipolle, aglio, olio, aceto balsamico. rosmarino, pepe, sale. Dopodiché va lasciata in frigo per almeno 24 ore. L’indomani sarà pronta per la graticola, senza esagerare però con la cottura : va gustata al sangue. Anche se non ci sarà Sgarbi tra i nostri invitati al barbecue il profumo emanato dalla cottura della carne solleverà un coro: all’unisono i partecipanti urleranno “Capra!! Capra!! Capra!!” e allora sarà il momento di servirla.
di Ivana Figuccio 14 febbraio 2016
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